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Ponte Rock – Live Report

PONTE ROCK  (ARPINO – 26/08/2022)

Live Report

a cura di: Francesca Mastracci

L’estate sta finendo e un anno se ne va, cantavano i Righeira. E sta finendo davvero, portandoci a fare i soliti bilanci di fine stagione. Ma benché sia stata un’estate particolarmente difficile da gestire con un allarme climatico rovinoso che ha visto bollini rosso fisso per lunghe settimane e capricciose crisi di governo interpretate dai vari programmi politici come una partita rpg di cui nessuno sa le regole, tuttavia è stato anche un bel periodo di ripartenza. Messa da parte per quanto possibile l’emergenza pandemica ed elusi funzionalmente i rincari dei prezzi su ogni versante, le persone  hanno ricominciato a viaggiare, ad aggregarsi senza troppo timore e finalmente sono tornati gli eventi live nelle modalità che meglio gli sono conformi.

Ho fatto questo ciarliero, e un po’ fumoso, preambolo per introdurre il live report riguardo un festival di cui siamo aficionados da anni ormai e che tradizionalmente è uno dei festival che segna la fine dell’estate. Dopo due anni di stop, è tornato per la sua quattordicesima edizione il Ponte Rock di Arpino (provincia di Frosinone), cercando di riprendere le redini proprio da dove le aveva lasciate.

E ci fa sempre piacere essere chiamati a far parte di questa rassegna che si è conquistata, con impegno e dedizione da parte degli organizzatori, una certa riconoscibilità a livello nazionale. Tralasciando per il momento il discorso su quanto vada tenuto da conto il coraggio di queste piccole realtà territoriali nell’intavolare un festival di musica alternativa in Italia, in provincia e per di più al centro-sud, un discorso su cui la pandemia non ha fatto altro che intensificare le già innegabili e profonde crepe preesistenti nel divario nord-sud per quanto concerne la scena musicale dal vivo nel nostro Paese. Ma di questo ne parleremo in altre occasioni.

Tornando al Ponte Rock, per l’edizione di quest’anno erano state annunciate come protagoniste della line up tre band ormai consolidate nel circuito indipendente made in Italy: I Botanici, i Voina e gli Elephant Brain. Causa problemi di ordine logistico, i primi non hanno potuto esserci, se non per la rappresentanza di Gaspare (batterista de I Botanici), che comunque è venuto per accompagnare e supportare la band che li avrebbe sostituiti: i Lamecca, band campana che ha da poco dato alle stampe il disco d’esordio, Ragazzina.

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E sono proprio loro ad aprire le danze (lievemente più tardi rispetto al previsto per via del maltempo che aveva fatto slittare il soundcheck di tutte le band qualche ora prima). Si presentano ad un pubblico che sostanzialmente non li conosce e di questo sono consapevoli, ma basta davvero poco per richiamare gente sottopalco perché fin dai primi accordi è chiaro che questi giovani qui eccome se ci sanno fare. Suoni compatti, attitudine punk ed eredità smaccatamente emo lambiscono atmosfere malinconiche inframmezzate a stacchi incisivi con una buona dose di sana cazzimma. Ricordano vagamente i conterranei Gomma, un po’ banalmente per il fatto che la cantante è donna e un po’ perché effettivamente il cantato e il mood si avvicinano molto al loro scenario. Sono stati davvero una bella scoperta e certamente inizieremo a seguirli più da vicino.

Dopo il loro live di circa un’ora, arriva il momento che molti dei presenti stava aspettando: Ivo Bucci e soci salgono sul palco

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I Voina restano una di quelle band che se pure suona bene su disco, suona centomila volte meglio live. Ovunque, in ogni contesto, dalle bettole ai palchi giganti, dalle officine con un’acustica discutibile ai live club di punta. Veraci, incisivi, salgono sul palco e partono a cannone con la perfetta commistione tra riff distorti di chitarra e drumming ben sostenuti, ai quali si amalgama bene la corposità graffiante della voce di Ivo che urla parole devastanti che arrivano di filata dritti allo stomaco. Passano gli anni, ma continuano a fare male e bene congiuntamente. Nostalgia, ansia generazionale, malinconia, inquietudine, ma anche bisogno di trovare degli espedienti per farsela prendere a bene. La loro setlist inframmezza pezzi da repertorio provenienti da Noi non siamo infinito (quando ancora erano Voina Hen) passando per Alcol, Schifo e Nostalgia e Ipergigante, ma è presente anche tutta la tracklist dell’ultimo EP YOGA, Pt. 1 con pezzi che sono già diventati singoli irrinunciabili (vedi “Adderall” e “Stranger Things”).

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Passa così un’ora e poco più senza quasi rendercene conto e avremmo voluto un altro encore dopo l’encore, ma la scaletta della serata deve continuare con gli Elephant Brain, e così la band abruzzese ci dà il suo commiato, restando comunque nei paraggi. Breve cambio palco ed ecco l’altra band che viene da Perugia ma che non è quella band lì, anche se proprio con quei fregis lì ha molto in comune. IMG_7768

I Fask permeano il lavoro degli Elephant Brain fin dalla fase compositiva, sia per le influenze e sia per la collaborazione con Jacopo Gigliotti (bassista dei FASK, ndr) che li produce. Proprio per questo ero molto curiosa di vederli live, per capire come riuscissero a far emergere la loro identità sul palco. E sanno difendersi bene questi cinque ragazzi dai visi puliti ma con l’animo infervorato, scompigliando come si deve un parterre di gente che canta a squarciagola i loro pezzi e si dimena. Sostanzialmente la loro scaletta è incentrata sul loro unico album Niente di Speciale, facendo qualche incursione al primissimo EP omonimo (con il pezzo “Blu”), ma presentano anche il loro nuovo singolo “Anche questa è insicurezza” (preludio di un nuovo disco?).

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La serata sta per volgere al termine, ma prima di chiudere il loro set è richiesto un encore, e via che si riparte con “Weekend” ed il pubblico, chiamato a rompere le fila, sale sul palco. Una grande festa che non vuole finire. Così, come estremo congedo, il presentatore della serata decide di chiamare sul palco tutte le band, compreso il caro Gas. Colti tutti alla sprovvista, ma entusiasti di chiudere la serata in modo completamente inaspettato, si cimentano in una cover di “Senza di te” dei Gazebo Penguins con tutti noi sotto il palco a cantare con voce spiegata e con gambe che non sono ancora stanche di saltare.

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È stata davvero una bella serata che, come i vecchi tempi, arriva a coronare la fine dell’estate. Sembra quasi che niente sia cambiato, nonostante tutto. Che bella sensazione!

 

Autore:

Francesca Mastracci