Da prassi, capita spesso che la festa grande la si faccia ai compleanni decadi. Spesso, ma non sempre.
E Rock In Liri ce lo dimostra, imbastendo una line-up incredibile per celebrare la sua undicesima edizione. Si sdoppia quest’anno il festival, proponendo la formula di più giorni come nelle prime edizioni, e tornando a “riprendersi” con il main stage la piazza principale della ridente cittadina ciociara che sorge sulle rive della cascata, Isola del Liri, da più di un decennio scenario di questo evento.
Due giorni pieni di musica per un totale di 16 set posizionati in palchi diffusi per far risaltare l’intero tessuto paesaggistico, già da orario aperitivo, tra i vicoli caratteristici che si diramano nel centro storico, nelle gallerie e tra i locali che costeggiano la cascata, per poi spostarsi appunto nella zona centrale del paese durante la parte più calda della scaletta.
Un aspetto molto bello di questa rassegna è sempre stato quello di voler creare una proposta che valorizzi artisti più o meno emergenti della scena locale, affiancandoli ai grandi nomi di rilievo dalla fama internazionale che negli anni si sono esibiti su questo palco. Sciorinando brevemente alcuni dei set che hanno colorato la prima parte delle due serate, troviamo l’istrionico cantautore Charlie Fuzz che si esibisce per l’occasione in un godibile unplugged con la sua chitarra e l’accompagnamento alle tastiere dell’ormai membro aggiunto della band, Nicola Russu. Ci sono anche i Nejo, in versione duo acustico, che alternano ballad dolceamare a ritmi caraibici. Interessante scoperta, poi, i romani All You Can Hate, che propongono una credibilissima miscela di post-punk e zampilli midwest della vecchia scuola kinselliana. Spazio anche per il produttore italo-iraniano Kazemijazi che si esibisce sul main stage con la sua band, intavolando atmosfere synth pop tendenzialmente viranti verso una dark wave neanche troppo cupa.
E già solo così poteva andarci bene. Ma ovviamente il meglio deve ancora arrivare. Sì, perché a rendere questa edizione del Rock in Liri davvero indimenticabile sono stati dei gruppi che era quasi impensabile potessero venire a suonare in Ciociaria in una calda serata di inizio luglio e per di più tutti insieme sullo stesso palco.
Tra gli headliner della prima serata ci sono stati niente meno che i londinesi Italia 90: una delle band più giovani tra gli esponenti del post-punk albionico ri-esploso nell’ultima decade, quello autenticamente plumbeo, brutale, coriaceo, senza eccezione alcuna made in UK. Distorsioni nevrotiche e taglienti come lame, ritmiche martellanti segnate da linee di basso penetranti e ricorsive, il tutto tenuto insieme da un cantato declamatorio e sgraziato (molto incline al tono baritonale di un acerbo Grian Chatten) che si lancia in chorus ossessivi all’inverosimile (come, del resto, la tradizione comanda). Hanno un solo album in discografia (Living Human Treasure del 2023) ed è giusto che ancora debbano costruirsi una loro voce identificativa. Tra vari stop-and-go che alternano schegge allucinate a momenti in cui il mood è maggiormente ascrivibile a stillicidi new wave, la band coinvolge bene la porzione di pubblico che aveva macinato anche chilometri per assistere al live dei secondi headliner che si sarebbero esibiti poco dopo. Il resto del pubblico, a tratti rapito a tratti distratto, mostra un po’ di fatica a farsi travolgere da certe sonorità (che pure la sera prima avevano infiammato il palco del Lars a Chiusi). Ma comunque la loro fetta di sottopalco ballonzolante se la guadagnano con dignità.
Arriviamo al pezzo forte di quest’edizione: i Soviet Soviet. Band che, nonostante il nome, è italianissima (per la precisione, di Pesaro), ma che ha riscosso ottimi consensi all’estero prima ancora che nel nostro Paese. Fanno live col contagocce, l’ultimo loro disco (Endless) è del 2016: giusto per dare un’idea di quanto hype ci potesse essere. La band mette su un cerimoniale di un’ora, in cui le tracce si susseguono senza troppe interruzioni l’una all’altra in bilico perenne tra catarsi e distruzione. Chitarre lisergiche immerse in densi strati di riverberi che rievocano ambientazioni spettrali, frammenti di oscura bellezza che si perdono nei meandri di trip introspettivi dove post-punk, new wave e shoegaze si fondono in maniera indissolubile rendendo impossibile distinguere dov’è il punto di fusione tra l’uno e l’altro. Le linee vocali, nasali e smaccatamente molkiane, si sposano alla perfezione con la cartilagine sonora a metà strada tra fervore denso, quasi materico, e rarefazione impalpabile. Fanno capolino dei pezzi nuovi tra la scaletta e questo ci fa ben sperare che forse non si dovrà attendere ancora molto per un nuovo disco, chissà. Menzione d’onore all’outro del live, affidato all’effettistica che il cantante/bassista ha orchestrato tra i pedali e il suo basso suonato dagli spostamenti aerei, per un discreto numero di minuti che ci sono parsi potenzialmente infiniti nel multiverso sonico che abbiamo esplorato in quel frangente. Molto bello!
Ultimi headliner della seconda serata sono stati i Giuda, band capitolina affezionata al festival (già si erano esibiti nell’edizione del 2017) che sostanzialmente è sempre una vera garanzia live. Impeccabili, pieni di entusiasmo e carica esplosiva, ci regalano un set che un po’ ci trasporta in un universo sonoro fuori da queste specifiche coordinate spaziotemporali Hardcore della vecchia guardia fatto di suoni pieni, semplici nel loro essere la quintessenza di un rhythm and blues che ha nei polmoni gli anni ’80. Riff granitici, rullante che scandisce il tempo con un incedere maestoso e scalpitante al tempo stesso, il cantante che non perde mai un briciolo di energia e con le sue braccia quasi perennemente spalancate sembra voglia avviluppare tutta la piazza. Ogni nota lavora per rispolverare senza tregua l’esuberanza caotica e scomposta del buon caro seminale rock’n’roll, che in fondo, possiamo dirlo senza riserve, non stanca mai davvero.
Si conclude così un’altra edizione del festival, accompagnata verso la fine dal dj set di Gianluca Lateana di Capperi, che aveva chiuso anche la prima serata.
Un grazie sincero a tutti gli organizzatori che hanno permesso, ancora una volta, di realizzare un festival in cui la passione per la musica è il motore principale e imprescindibile a muovere il tutto. E questo non è mai un dato scontato, l’esperienza lo insegna.
Ci vediamo il prossimo anno!