C’è un potere taumaturgico nella musica dei Nine Inch Nails, una sorta di potenza inconscia che spinge per portare a galla i propri demoni. È una visione sonora che nella dimensione live si trasforma in un atto liberatorio, essenza pura che diviene sacra, tra le parole profane dei brani pronunciate da Trent Reznor sul palco.
L’unica data italiana al Parco della Musica di Milano è stata un viaggio ai confini del suono, di quel suono tipico dei NIN, che solo in parte plana sull’industrial furioso per abbracciare poi l’elettronica viscerale, il rock più feroce e intransigente e la forma introspettiva più oscura e intima.
Potenza e perfezione tecnica al millimetro, scenografia minimale con luci avvolgenti e ipnotiche e due maxi schermi con le immagini riprese sul palco in bianco e nero, quasi visioni cinematografiche da film, quasi oniriche e lynchiane, quasi un’ eco di passate incursioni filmiche targate NIN.
Trent Reznor resta il Mr. Self Destruct della scena, la attraversa e la dissolve, mentre la sua voce calda e potente crea sempre quella tensione che spezza in due ogni emozione. Sale per primo sul palco e poi lo raggiunge il resto della band, il sodale anche di numerose colonne sonore Atticus Ross che forgia allucinazioni elettroniche, Alessandro Cortini e Robin Finck che si alternano sapientemente agli strumenti, modellando ritmi, mentre la batteria di Ilan Rubin spinge spesso sull’acceleratore. È tutto un vortice di energia e delicatezza, di suoni brutali, lirici, densi e intensi, di istanti selvaggi e attimi sospesi, di materia corporea e poetica introspezione.
Si parte subito accingendo alla fontana della decadenza di “Somewhat Damaged”, da The Fragile, per poi alzare ancora i volumi sulla furia di “Wish”, da Broken. Si prosegue con “Letting You”, per poi essere invasi dai “maiali sonori”, ora più feroci di “March of the Pigs” ora più surreali e morbidi di “Piggy”. E ancora le visioni elettroniche di “The Lovers”, “Echoplex”, “Less Than” e “Copy of A”. La carnale sensualità di “Closer”, viene cantata all’unisono da tutti i presenti. Si procede, come un flusso sonoro che tutto avvolge, con “Discipline”, “Find My Way”, “The Big Come Down” e “The Good Soldier”. C’è poi l’omaggio all’amico David Bowie, con “I’m Afraid of Americans” e le visioni in pellicola di “Burn” dal film Natural Born Killers di Oliver Stone e “The Perfect Drug” dalla soundtrack di Lost Highway di David Lynch. Chiudono il live le storiche “Gave Up” e “Head Like a Hole” e infine, come in tutti i concerti dei NIN, arriva la disperazione intensa di “Hurt” con la sua “crown of shit”, che nella cover di Jonny Cash poi si è tramutata in “crown of thorns”, e le lacrime amare che il pezzo porta con sé. Sulle note del tema di Twin Peaks il live volge al termine.
Al Parco della Musica di Milano, i NIN hanno portato in scena carne viva di suoni pulsanti e sanguinati, per un concerto reale oltre ogni immaginazione. E sono riusciti a edificare un sound per ritrovare il caos nella quiete, il dolore nella gioia, la potenza nella sensualità, la fisicità nella forza del lirismo, viaggiando tra gli Halo dell’ascolto, trovando la strada nel loro, che nel mentre è divenuto anche il nostro, “Empire of Dirt”.
Setlist:
- Somewhat Damaged
- Wish
- Letting You
- March of the Pigs
- Piggy
- The Lovers
- Echoplex
- Less Than
- Copy of A
- Closer
- Discipline
- Find My Way
- The Big Come Down
- The Good Soldier
- I’m Afraid of Americans
- Burn
- The Perfect Drug
- Gave Up
- Head Like a Hole
- Hurt