E’ difficile per me iniziare questo “live report” perché gli Afterhours, da ascoltatore e musicista, sono senza dubbio tra i gruppi che più di tutti hanno influenzato il mio modo di vedere e ascoltare. Quindi mi butto, di pancia, come sempre, perché alla fine la musica è anche e soprattutto quello: un treno di emozioni che ti colpisce in pieno.
Per questo tour le aperture dei concerti sono affidate agli artisti che hanno partecipato a Carne Fresca, format per la musica emergente portato avanti a Germi, locale di Manuel Agnelli a Milano dove fino a prima dell’estate si sono esibiti svariati gruppi emergenti.
Per la data del 6 Luglio sul palco si sono esibiti Fitza e Dirty Noise (nei quali alla voce troviamo la figlia di Manuel, Emma Agnelli). Fitza si presenta sul palco chitarra e voce per un set molto intimo ma viscerale, con brani che attaccano in profondità con una padronanza vocale che rapisce dalla prima nota. Difficile tenere un palco così da soli, con una chitarra acustica, ma lei ci riesce senza alcun problema e brano dopo brano riceve l’affetto del pubblico che ascolta interessato. Sicuramente il disco in uscita avrà tanto da raccontarci.
I Dirty Noise sono una formazione invece composta da chitarra, basso, batteria e voce, diretti e senza troppi giri di parole suonano un rock miscelato a varie influenze, basso e batteria menano in sincro mentre la chitarra si concede anche delle sferzate più noisein alcuni punti mentre la voce potente lega tutto insieme in un’ottima formula.
Sono le 21.40 circa quando sul palco compaiono gli Afterhours, accolti da un boato incredibile.
Manuel Agnelli, Giorgio Prette, Dario Ciffo, Andrea Viti salgono sul palco accompagnati da Giacomo Rossetti che prenderà il ruolo del “tutto fare” alle tastiere, percussioni e chitarre). Non c’è troppo spazio per le parole, si inizia subito con il primo brano, “La sottile linea bianca” che ci fa perdere la voce dopo pochissimo tempo.
“Ballata per la mia piccola iena”, come da disco, parte subito dopo con un tiro incredibile, perfetta e con un pubblico che riempie l’Auditorium di cori che rendono il tutto ancora più magico. Sembra di tornare quando avevi 15 anni e vedevi gli Afterhours per le prime volte, rimanendo stregato, ancora oggi l’effetto è lo stesso. Seguono i brani in preciso ordine da disco e quando è il turno di “Ci sono molti modi”, Manuel al piano esegue in maniera impeccabile il brano con un trasporto unico che fa rabbrividire.
“La vedova bianca”, “Carne Fresca” e “Male in Polvere” vengono suonate alla perfezione, i suoni sono quelli, le mani sugli strumenti sono quelle, le linee di basso di Andrea Viti sono pulite, essenziali e corpose, la batteria di Prette è quella con cui siamo cresciuti tutti mentre i violini e le chitarre di Dario Ciffo sono impeccabili, scavano dentro l’anima e Giacomo Rossetti, da poco più dietro, riempie di suoni ogni brano con una bravura che non passa inosservata.
Quasi non ci accorgiamo che la prima parte del concerto è volata, infatti le canzoni di Ballate per piccole iene vengono eseguite quasi tutte d’un fiato, “Chissà com’è” è letteralmente una bomba, il riff di chitarra di è acido e pieno di fuzz, i suoni sono potenti e alti, Agnelli esegue tutti i brani intercambiando tre chitarre, iconiche la Telecaster e la Jazzmaster per poi passare a più riprese a una Stratocaster nera. “Il sangue di Giuda” e “Il compleanno di Andrea” chiudono il set in modo perfetto, lasciando le visual sulle installazioni a farci compagnia mentre il palco si oscura, la band esce una prima volta e il vento ci rinfresca tutti.
Passano pochi istanti prima che Manuel e i compagni tornino sul palco e senza fiatare eseguono una versione di “La canzone di Marinella: dove basso e batterie fanno da padroni, perpetui e instancabili, fino alla fine. Dopo questa cover c’è spazio per un po’ di ringraziamenti al pubblico, qualche battuta e sorriso, prima dell’inizio della seconda parte del concerto.
Parte l’intro di “Strategie”, forse uno dei brani più iconici della band, e da qui in poi il mio racconto potrebbe essere un po’ meno lucido in quanto la prima parte del concerto l’ho seguito fronte palco in transenna con la mia ragazza, ma dopo la rullata di Prette su “Strategie”, il pubblico è esploso in un pogo collettivo accompagnato da tantissime voci che cantavano all’unisono.
Nella calca ci si scontra amichevolmente gli uni contro gli altri, urlandosi in faccia quei testi che si vede, hanno accompagnato e sostenuto tanto ognuno di noi negli anni, e ancora oggi. “Germi” fa letteralmente saltare in aria tutto il posto, il pubblico schizza a destra e sinistra e la dose di emozione non finisce perché subito dopo parte “Lasciami leccare l’adrenalina”, altro brano iconico che ci scaraventa di nuovo nel passato, facendoci stare bene.
Sempre da Hai paura del buio? viene eseguita la canzone successiva, “Dea”, un brano energico e a tratti violento, dove Manuel ha una richiesta particolare, nel mezzo del brano si apre un cerchio grosso quanto tutto il parterre e al via di Manuel (in realtà un poco prima) i corpi sudati si scontrano in un pogo che si consuma fino a fine canzone.
Il concerto sembra voler mirare proprio a tutti noi che gli Aftehours li abbiamo visti chissà quante volte, in tante e diverse occasioni, centri sociali, teatri, palchi grandi, piccoli, con tutte le formazioni che sono passate. Quando Manuel prende il microfono con il filo, a petto nudo si avvicina a fronte palco, sappiamo già tutti che sta per partire “La verità che ricordavo”. Il brano parte e Agnelli fa il suo solito “trick” con il microfono, facendolo roteare attorno a se e riprendendolo solo per cantare. (Su questo brano ho fatto crowd surf, colpa di Ettore che ha deciso di alzarmi… Ti voglio bene Ettore)
“Male di miele” è l’ennesimo brano che ci fa urlare, pogare, saltare e godere. E’ tutto perfetto e siamo li a vivere quel momento. “Quello che non c’è” semplicemente perfetta, chiude la seconda parte del concerto, ma non il concerto, perché come noi siamo affamati, anche loro sembrano non averne mai abbastanza ed escono una terza volta per eseguire “Non si esce vivi dagli anni ’80” con una carica che sembra veramente di essere di nuovo a 15\20 anni fa, al teatro Tendastrisce o al Forte Prenestino
Prima di “Padania” c’è spazio per qualche parola sui tempi che stiamo vivendo, sul genocidio in atto a Gaza, sul futuro incerto e sulla speranza, prima di un brano che personalmente trovo di una bellezza fuori dal comune, ma forse non faccio testo. “Bye Bye Bombay” chiude questo piccolo trittico di canzoni con un pubblico che canta quel “io non tremo” come una preghiera, e forse lo è davvero.
Il set si conclude con il ritorno degli Afterhours sul palco che suonano “Non è per sempre” e “Voglio una pelle splendida” con un trasporto e una consapevolezza che solo gruppi di questo calibro possono avere.
Un concerto che dura ben 23 brani, senza chissà quanto riposo tra un brano e l’altro, tra un “set” e l’altro.
Questo significa fare musica.
Possono non piacere, ognuno ha i propri gusti ed è giusto così, ma c’è un prima e un dopo gli Afterhours ed è innegabile quanto hanno dato alla musica e soprattutto quando ancora probabilmente devono dare. È fantastico vedere come dopo tutto questo tempo Manuel Agnelli prende a cuore la musica, anche e soprattutto quella emergente con la rassegna di Carne Fresca e a tal proposito, vi consiglio, se andate a sentirli nelle prossime date, arrivate un po’ prima, come ha detto lo stesso Manuel, perché i ragazzi che suonano prima meritano l’attenzione di un pubblico più grande, e magari i prossimi artisti che ci salveranno la vita, come lo hanno fatto gli Afterhours in diverse occasioni, sono proprio alcuni di loro.
È un tema, non un live report, me ne rendo conto, ma la musica non è fatta per questi tempi in cui l’attenzione cala dopo trenta secondi.