Recensione a cura di Francesca Mastracci
Sono giorni che fisso questa schermata bianca, ogni tanto abbozzando idee e pensieri per lo più sconnessi, che poi cancello, cercando di trovare parole migliori, più adatte, per poter recensire l’ultimo album dei The National. Un album che -sic- nasce proprio dalla difficoltà di superare un blocco dello scrittore che stava paralizzando da più di un anno Matt Berlinger, cantante e anima della band, insieme ai fratelli Aaron e Bryce Dessner e a Scott e Bryan Devendorf.
De te fabula narratur, direbbero taluni.
Questa difficoltà, che in parte è condivisibile tutte le volte che mi trovo a scrivere la mia opinione sul nuovo disco di una band o di un artista che amo particolarmente è stata acuita, nel caso specifico, dall’importanza che da subito ha rivestito nei miei ascolti questo disco. Ma, cercando di mantenere una pur necessaria quanto impossibile oggettività, ho scritto le prime righe ed eccomi qui.
Via, si parte.
Il più celebre romanzo epistolare di Mary Shelley, Frankenstein, si apre con una lettera del capitano Robert Walton in cui viene descritto lo scenario di desolazione e gelo che gli si profila dinanzi all’alba della sua spedizione al Polo Nord. Nonostante la prospettiva di un viaggio difficoltoso e nonostante il freddo paralizzante, c’è un entusiasmo inedito nella voce del capitano: quello di quando stai per intraprendere qualcosa che ti tocca dal più profondo dell’animo e ti fa sentire vivo. Nonostante tutto.
In uno dei tanti giorni senza sole e senza ispirazione, Matt ha aperto per caso queste prime due pagine del romanzo e qualcosa in lui si è riacceso. Questa, perlomeno, la versione che sta circolando su come è nato, appunto, First Two Pages of Frankenstein, nono album in studio della band originaria di Cincinnati, uscito via 4AD lo scorso 28 aprile a quattro anni di distanza da Easy to Find (2019), con nel mezzo una pandemia globale e una profonda crisi depressiva per Berninger che stava mettendo seriamente a repentaglio anche le sorti della band.
Ma poi qualcosa si è smosso, grazie al sostegno di tutta la band e di Carin Besser, sua moglie (e da anni ormai anche co-scrittrice di molti dei pezzi), che gli ripeteva spesso una frase: “Your mind is not your friend” (frase che sarebbe poi diventata il titolo di un pezzo in cui compare uno splendido feat con Phoebe Bridgers). È da questi gesti di gentilezza e dai disseminati zampilli di inavvertite epifanie che prende avvio la rinascita creativa di Matt la scorsa estate.
Nei quattro anni che sono intercorsi dall’ultimo disco, però, il cantautore aveva avuto modo di dedicarsi, prima di questo momento di stallo, all’uscita del suo primo disco solista (Serpentine Prison, 2020).
Ma dopo di allora, la traccia che aveva rotto il silenzio era stata, ad agosto, “Weird Goodbyes” (in feat con Bon Iver) che in parte anticipava il mood di quello che sarebbe stato il nuovo disco in uscita, ma che successivamente si decise di non inserire nella tracklist per tenerla come parentesi di stacco tra quello che era stato e quello che sarebbe stato destinato ad essere.
First Two Pages of Frankenstein è un disco che non smentisce l’estrema eleganza stilistica della band e una profonda delicatezza sia nelle lyrics che nelle trame strutturali. Ritroviamo le orchestrazioni evocative chamber-rock dell’ultimo periodo National, assieme alle atmosfere intime intavolate su arrangiamenti essenziali. Ma ritroviamo anche le partizioni ritmiche in progressione e quei riff angolari tanto familiari ai primi lavori, che sembrano voler squarciare il cuore degli ascoltatori ogni volta.
L’incipit è affidato ad uno dei passaggi più minimali ed intimisti del disco, “Once Upon a Poolside”, introdotto da poche raffinate note di piano a cui si avvolge la voce vellutata di Matt come un sussurro caldo, mentre Surfjan Stevens fa riecheggiare in sottofondo i suoi cori flebili e lievi, in un gioco ossimorico di contrasti estremamente piacevole da ascoltare.
Tra gli altri feat del disco, come accennato, ritroviamo Phoebe Bridgers in due pezzi: oltre che nella già citata “Your Mind Is Not Your Friend”, anche in “This Isn’t Helping”, dove, però, la sua partecipazione resta defilata, quasi più simile ad un supporto morale. Inutile dire che la profondità interpretativa di Phoebe rende questi capitoli due dei momenti più alti del disco.
Altra guest star è Taylor Swift (con la quale Aaron Dessner aveva già lavorato per la produzione del distico discografico uscito nel 2020 composto da Folklore ed Evermore (dove tra l’altro era già presente un feat con Matt Berninger nel pezzo “Coney Island”, ndr) con cui prende vita una splendida ballata downtempo in “The Alcott”.
Difficile staccare i restanti capitoli che compongono la tracklist. “Eucalyptus” ha tutta l’aria di diventare un grande classico nella loro discografia, nello scontro/incontro che intavola tra le chitarre acidulate e distorte, l’armonia tenue del piano e le percussioni riverberate nella loro cadenza progressiva. E se qui si parla di addii sofferti, la controparte, “New Order T-shirt”, tratteggia invece con i suoi arpeggi di chitarra le atmosfere tenui di una sorta di lettera d’amore in retrospettiva alle memorie del passato. Interessante il lavoro svolto su “Tropic Morning News” con le percussioni che si ripetono circolari avvitandosi a partiture sintetiche per riecheggiare strutturalmente il ristagno tematico di cui si parla nel testo, incentrato appunto su una sorta di incapacità comunicativa metaforizzata attraverso l’immagine del doomscrolling.
Un disco raffinato e sofisticato, insomma, che sposa perfettamente l’estetica del gruppo, senza lasciare che questa gli resti mai troppo incollata. È una lente che scruta l’abisso per capire come si riesce a restare a galla. Un elogio sommesso a quelle piccole piccolissime cose che pure riescono a rendere la vita sopportabile (“those little tiny things” per citare le parole usate da Matt durante l’episodio del podcast Broken Records di cui è protagonista). È un abbraccio che a volte riesce ad avere anche la potenza di un pugno allo stomaco.
Infine, è un tributo a quelle ‘due pagine’ che arrivano sempre a salvarci quando più ne abbiamo bisogno.
Tracklist:
1. Once Upon a Poolside (feat. Sufjan Stevens)
2. Eucalyptus
3. New Order T-Shirt
4. This Isn’t Helping (feat. Phoebe Bridgers)
5. Tropic Morning News
6. Alien
7. The Alcott (feat. Taylor Swift)
8. Grease In Your Hair
9. Ice Machines
10. Your Mind Is Not Your Friend (feat. Phoebe Bridgers)
11. Send For Me
VOTO: 8,5