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Ondalternativa

Bon Iver – SABLE, fABLE

Ci ho messo un po’ —5 settimane, a voler esser precisi— prima di riuscire a recensire il nuovo album dei Bon Iver. Vuoi perché viviamo in un’epoca in cui viene pubblicata più musica giornalmente che nell’intero 1989, vuoi perché parlare della tua band preferita senza cadere nella trappola della facile idolatria è sempre un affare complicato, ma ho rimandato a lungo il momento in cui sedermi per provare a parlare di questo disco. Molto probabilmente perchè sentivo necessitasse del giusto tempo e della giusta attenzione, non del solito ascolto distratto mentre cammini per strada, ma soprattutto perchè, nonostante la musica permei ogni ambito della mia vita, faccio ancora fatica a trovare le parole giuste per descrivere la sensazione che si prova quando un disco ti emoziona come se avessi 14 anni e, steso sul letto della tua cameretta, con le cuffie ben salde nelle orecchie, avessi appena scoperto la band che ti avrebbe accompagnato per il resto della tua vita. Mi è successo ad ottobre, ascoltando i primi quattro brani rilasciati dalla band, e mi è successo di nuovo ad aprile, con la pubblicazione dei rimanenti 9 brani a comporre l’album intero. E mentre mi avvicinavo alla fine del disco ho iniziato a dare un nome alla sensazione che stava dietro la mia procrastinazione: paura, perchè questo disco parla di una fine.

ph. Graham Tolbert

Mettiamo subito le cose in chiaro: SABLE, fABLE è un capolavoro. I Bon Iver sono riusciti a fare quello che solo i grandi riescono a fare: rimanere fedeli a se stessi, e allo stesso tempo cambiare. Ci sono tutti gli ingredienti che li hanno resi unici —arrangiamenti e strutture non convenzionali, testi criptici e pieni di simbolismi– ma il tutto è reso estremamente accessibile da una produzione impeccabile che mette d’accordo ogni tipo di ascoltatore, come se la band di Eau Claire avesse trovato il segreto per rendere l’inspiegabile un po’ più comprensibile. È un concetto  complesso, che saprei spiegare solamente prendendo in prestito le parole che Marco (Wrongonyou ndr, molto probabilmente la persona più preparata —e ossessionata— al mondo quando si parla di Justin Vernon) mi rivolse dopo il concerto al forum di Assago nel 2022: Concerti così ti mandano in confusione. Mi fa rivalutare tutto quello che ho fatto finora e venir voglia di ricominciare tutto da capo”.

Eppure sono dei Bon Iver diversi da quelli che abbiamo imparato a conoscere. È come se avessero attraversato tutte le stagioni della loro musica —dai boschi innevati di For Emma, Forever Ago, passando per l’estate leggera di i,i— e adesso si trovassero finalmente a chiudere il cerchio con la primavera delicata del doppio LP SABLE, fABLE —un formato fisico che traduce alla perfezione la duplice natura del disco.

 

La prima metà, SABLE, è un viaggio, la colonna sonora che consiglierei a chiunque  si ritrovi a viaggiare, in macchina o in treno, magari di ritorno da una città a un’altra. Già da “THINGS BEHIND THINGS”, seconda traccia del disco, l’atmosfera è resa da subito onirica grazie all’uso di suoni “analogici”, se mi lasciate passare il termine; è infatti un richiamo alle atmosfere dei primi album, con pochi elementi usati in modo chirurgico: una chitarra, un violino e l’immancabile lap steel, resa popolare negli ultimi anni anche da altri artisti affini alla band come i Novo Amor.

Tuttavia non bisogna fare l’errore di confondere l’inizio di questo album con il primo For Emma, Forever Ago o il self titled Bon Iver, Bon Iver: basti ascoltare i due brani che chiudono simbolicamente questo primo “disco nel disco”, “SPEYSIDE” e “AWARDS SEASON”. In essi Vernon si mette a nudo cantando chitarra e voce come l’abbiamo conosciuto e apprezzato (d‘altronde, probabilmente molti di noi hanno conosciuto i Bon Iver grazie a “Skinny Love” o a QUELLA cover di “I can’t make you love me”), ma è un Justin Vernon diverso dal 26enne che si chiuse in una cabina del Wisconsin ammalato di mononucleosi per scrivere del suo amore non corrisposto: una voce più ferma, molti meno falsetti, un’intimità diversa e sempre un alone di mistero dettato da quelle maledette metafore difficili da apprezzare al primo ascolto.

“SPEYSIDE”, in particolare, è una piccola perla malinconica.

Nothings really happened like I thought it would.

Triste, certo. Ma come l’album stesso questa frase è un mezzo da tenere lì, per quando ne avremo bisogno, e da utilizzare in un preciso momento della nostra vita per arrivare alla consapevolezza che non sempre le cose vanno come avremmo voluto. Un po’ come diceva Umberto Eco, il quale riteneva i libri qualcosa da avere in abbondanza così da utilizzarli come medicina quando ci si ammala di qualcosa in particolare, allo stesso modo SABLE, fABLE è una libreria perfetta, piena di tutto ciò che ci serve. Justin Vernon ci ha dato un compendio completo da ascoltare in qualsiasi fase della nostra vita: il libro giusto arriverà nel momento adatto, l’importante è averlo li pronto.

Arriviamo poi alla seconda metà del disco, che a detta del cantante rappresenta la parte della sua vita in cui ha capito di potersi permettere di essere felice: fABLE, infatti, è un tripudio, e i brani che compongono il resto del disco sono l’esatto riflesso di questo pensiero (“I don’t know if I’ve ever been this happy, which is really awesome”).

In “WALK HOME” troviamo un Justin Vernon sorridente, come se fosse appena uscito dal suo guscio di tristezza e avesse imparato a sorridere, riscoprendo l’emozione nelle piccole cose e la bellezza del lasciar entrare la luce:

 

we don’t need no windows curtains

we can let the light come in

and if I just get too high sometimes

it’s I’ve just learned to walk

 

Si passa per “SHORT STORY”, l’ennesimo promemoria che tutto passa e che anche il mese più lungo dell’anno dura solo 31 giorni (“January ain’t the whole world…”) e altri brani con collaborazioni d’eccezione, come “DAY ONE” ft. Dijon che riporta alla mente le atmosfere di PDLIF e AUATC, e FROM, in cui nei riconoscimenti troviamo Jacob Collier e MkGee (avete riconosciuto quel modo di suonare la chitarra? No? …eh.)

Ma è proprio avvicinandoci alla fine dell’album, con la voce di Danielle Haim a fare da sottofondo, che si fa strada –sempre più incalzante– quella sensazione di cui ho accennato all’inizio: la paura.

Perché sì, se proprio bisogna trovare un difetto in questo disco, è che finisce.

E non è la solita frase fatta, buttata lì con leggerezza per chiudere una conversazione tra amici con un tocco di ironia.

Questo album finisce. E con esso potrebbe chiudersi anche la storia dei Bon Iver.

Justin Vernon non lo nasconde: in un’intervista ha detto chiaramente che sarebbe in pace con se stesso qualora questo fosse l’ultimo lavoro della band. E i suoi innumerevoli altri progetti (Big Red Machine, Volcano Choir, Gayngs, …) di certo continuerebbero a nutrire la sua necessità espressiva.

Ma sono le canzoni stesse, e i video che le accompagnano (in particolare quello di “There’s a Rhythmn/Au Revoir”), a suggerirci qualcosa di più profondo.

Questa volta, molto probabilmente, Vernon non sta parlando a una persona amata, a sua madre o a un vecchio amico: sta parlando a se stesso.

Se SABLE richiama l’immagine dell’uomo che, più di vent’anni fa, si era costruito un personaggio triste e incupito, isolato in una cabina nel bosco, fABLE sembra invece essere un addio: un addio alla dicotomia tra Justin Vernon e i Bon Iver, all’idea che ci siamo fatti di lui e alla tristezza a cui ci siamo abituati ad associarlo, e alla quale ora anche lui, forse, è finalmente pronto a dire “au revoir”.

Yes, you have just always had your band

But you get sad enough because it’s all you seek

SABLE, fABLE non è dunque il classico album dei Bon Iver, piuttosto il contrario: ti fa guardare al futuro con speranza e ti dà una colonna sonora da portare dietro durante il viaggio verso la prossima meta, consapevole che anche questa volta andrà tutto per il verso giusto.

E magari la tua band preferita continuerà a pubblicare nuova musica.

Ma anche così non fosse, va bene lo stesso.

Parola di Justin Vernon.

 

 

TRACKLIST

  1. THINGS BEHIND THINGS BEHIND THINGS
  2. S P E Y S I D E
  3. AWARDS SEASON
  4. Short Story
  5. Everything is Peaceful Love
  6. Walk Home
  7. Day One (ft. Dijon, Flock of Dimes)
  8. From
  9. I’ll Be There
  10. If Only I Could Wait (ft. Danielle Haim)
  11. There’s a Rhythmn
  12. Au Revoir
Immagine che rappresenta l'autore: Marco Pucci

Autore:

Marco Pucci