Psichedelia anni ’70, il blues come-va-fatto, il pop-rock di qualità anni ’80 e l’alternatività d’oltremanica a cavallo del millennio sono i pilastri di questa band all’albumn d’esordio. Ondalternativa ha deciso di dare maggior spazio a questi The Churchill Outfit, ragazzi davvero disponibili. Non ci resta che augurarvi buona lettura.
Il nome della vostra band è un curioso, cosa rappresenta?
Il nome della band è nato con noi, e per dirla tutta non nasconde grandi retroscena. Cercavamo un nome capace di innescare associazioni d’idee soggettive che rimandasse immediatamente ad un’ immagine forte.
Come e perchè avete iniziato a suonare insieme?
La band è nata dall’incontro di Manuel, Alessandro e Francesco, il primo aveva iniziato a scrivere canzoni, gli altri due avevano alle spalle diverse collaborazioni con altre band. Dopo i primi risultati incoraggianti in sala prove si è deciso di coinvolgere Luca che già aveva collaborato con Alessandro e Francesco. I primi concerti vedevano Manuel alla voce e chitarra, Alessandro alla chitarra, Francesco alla batteria e Luca al basso, i pezzi giravano, ma mancava qualcosa, così si è pensato di integrare nella formazione la chitarra di Marco, vecchia conoscenza della band e di affidare le tastiere ad Alessandro.
La scena bresciana negli ultimi anni è florida di gruppi indipendenti che fanno musica apprezzabilissima: come vi ponete nei confronti di questa? Vi piace o volete differenziarvi?
Come band è bello far parte di una comunità che da un lato collabora alla creazione di qualcosa di significativo, di qualitativamente alto e dall’altro ti spinge al confronto e alla continua ricerca in un clima decisamente competitivo.
Noi cerchiamo di proporre un nostro suono che difficilmente è paragonabile a quello di altri artisti qui in città, che in particolare nell’ultimo periodo stanno avendo ottimi risultati con una proposta decisamente meno internazionale rispetto alla nostra.
Parlateci un po’ di come è nato l’album "The Churchill Outfit".
L’album nasce come naturale evoluzione di "In Dark Times", il nostro primo lavoro in studio, molti pezzi infatti erano già pronti al momento in cui registrammo l’EP. Al momento di entrare in studio le idee erano molto chiare e gli arrangiamenti erano definiti per il 90%, questo ci ha permesso di lavorare fin da subito in modo efficace. L’album rappresenta lo sforzo di costruire un suono inedito, più incisivo e decisamente più contemporaneo rispetto ai riferimenti seventies che caratterizzano il nostro EP d’esordio.
Quali sono i gruppi/album del passato che hanno ispirato la vostra musica e vi hanno fatto inziare a suonare?
Pink Floyd, Meddle, per alcuni di noi è stato il punto di partenza.
Come mai la scelta di chiudere tutte le canzoni in poco più di 3 minuti e non lasciarne andare qualcuna per la sua strada di assoli e effetti che siano?
Perchè volevamo un album abbastanza asciutto e compatto che prendesse le distanze da certa psichedelica nella quale non ci riconosciamo per niente.
In fase di produzione, con Fausto Zanardelli, cerchiamo di lavorare per sottrazione, togliendo i passaggi meno incisivi, ingiustificati che rischierebbero di togliere forza all’essenza del pezzo.
Il nostro suono è decisamente ricco, ma sotto si nasconde un forte lavoro di sintesi che si regge su strutture molto solide, se vogliamo quasi pop.
Domanda obbligata: che ne pensate della musica alternativa italiana di questo periodo? Seguite qualche gruppo in particolare?
La scena alternativa italiana sta crescendo. Più in quantità che in qualità. Non seguiamo nessun gruppo in particolare, ma siamo molto attenti a monitorare le novità più interessanti.
A livello internazionale quali sono le band attuali che fanno da riferimento per voi e per la vostra musica?
Delta Spirit, Local Natives, Tame Impala, Black Keys, Dead Meadaw, Arcade Fire, Feist, Trent Reznor, Radiohead, Raconteurs, Fleet Foxes, Wolf Parade.
Come mai, secondo voi, in questi ultimi anni la scena indie si rifà molto al suono degli anni ’70?
Perchè per varie ragioni la nostra generazione sta subendo il fascino di quegli anni.
Allora è stata fatta un sacco di bella musica, caratterizzata da una grande consapevolezza, era musica abbastanza ragionata e se vogliamo artificiosa (spesso fin troppo). Forse la gente oggi ha bisogno di “tornare” a questo, ad una proposta culturale più complessa che nasconde più chiavi interpretative e che permette di essere affrontata da più punti di vista. O forse, più cinicamente, è solo una moda passeggera.
Per quanto ci riguarda, nei tCO più che i suoni puoi riconoscere l’attitudine di quegli anni a creare e strutturare la musica in maniera logica e cosciente.
L’ep d’esordio ha avuto belle parole dalla critica, così come "The Churchill Outfit" e adesso siete attesi alla prova del nove con il prossimo album: avete in mente già qualcosa?
Non abbiamo ancora iniziato a lavorare su nuovo materiale, vorremmo prenderci del tempo per raccogliere i frutti di quest’ultimo lavoro e ragionare sulla direzione da prendere. Siamo molto soddisfatti del materiale prodotto fin qui, ma siamo anche impazienti di continuare a lavorare a delle idee rimaste in sospeso che nel nostro album d’esordio sono presenti solo in stato embrionale.
a cura di Syd the Piper
un ringraziamento ad Ercole @ Alcor Press