Il fatto che abbiano attribuito al loro secondo album di studio un titolo emblematico come For A Moment, I Was Lost è esemplificativo di quanto ci sia dietro la realizzazione di questo lavoro. Certo, non manca il riferimento a quanto sia difficile fare i conti con un esordio che ti porta improvvisamente a cavalcare la cresta dell’onda a 19 anni per poi, subito dopo, lasciarti nell’indifferenza del mercato discografico in cui le etichette ti prendono e ti abbandonano con una facilità destabilizzante (a questo è infatti consacrato il tema di “Fickle Game”). Ma, se oggi, dopo due anni di alti e bassi, gli Amber Run ce l’hanno fatta a tornare a galla è tutto merito loro, come rivela anche il video del primo singolo estratto “Stranger”, in cui la band di Nottingham si dimena incessantemente per non affogare.
L’album, uscito lo scorso 10 febbraio per Easylife Records, ce li fa ritrovare musicalmente più maturi e in grado di confezionare pezzi con un maggiore impatto emotivo, più naturale rispetto a 5am. I 12 pezzi che compongono l’LP sono, infatti, un concentrato di indie, alternative e brit-rock, riecheggiando a tratti le fluttuazioni eteree di Bon Iver, miste alle rarefazioni fragorose degli Alt-J. Ogni traccia è un’istantanea che cattura momenti intimi della loro storia personale, in cui emerge la voce suadente di Joe Keogh, che ora si concede a falsetti inerpicati su minimalismi acustici con riverberi di chitarre e cori sussurrati (“Fickle Game”, “Machine”, “Are You Home”), ora trova la sua dimensione in venature math che, nei crescendo sempre più ritmicamente testurizzati, esplodono in sessioni sonore prorompenti con chitarre distorte e battiti cadenzati di batteria elettronica (“No Answer”, “Dark Bloom”, “Perfect”). Piena di riverberi e influenze intriganti è anche “Island”, in cui troviamo un cambio costante di tonalità tra leggere dissonanze che ne suggellano la linea vocale dosata e potente. Altre volte, invece, i campionamenti vocali si fanno largo, prendendo il sopravvento, come nel caso di “Haze”, che in meno di due minuti sfuma i contorni rendendo il pezzo una vera e propria foschia di lenta ritmica elettronica posta al centro dell’album. Ottima la chiusa con “Wastelands”, traccia intima e malinconica, certamente la più impegnativa e musicalmente articolata dell’album: piena di modulazioni fluttuanti e tenui nella prima parte, che poi vanno a scontrarsi con la tempesta esplosiva della conclusione.
Lavoro complesso e strutturato che merita di essere esplorato nella sua compattezza, senza avere nulla da invidiare alle tante altre band che affollano il panorama dell’indie-rock britannico. Una seconda prova che supera la prima, promettendo sempre di più. Staremo a vedere dove li porterà la loro corsa tinta di ambra.
01. Insomniac
02. No answers
03. Island
04. Stranger
05. Fickle game
06. Haze
07. White lie
08. Perfect
09. Dark bloom
10. Machine
11. Are you home
12. Wastelands
a cura di: Francesca Mastracci