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Ondalternativa

Nick Cave & The Bad Sees – Wild God

 

Non c’è mai un piano generale quando facciamo un

disco. I dischi riflettono piuttosto lo stato emotivo degli

autori e dei musicisti che li hanno suonati. Ascoltando

questo, non so, sembra che siamo felici.

Nick Cave

 

C’è una parte di me che non ha mai nascosto il disappunto per l’essere nata (come fosse davvero una colpa) in un’epoca, la fine degli anni ottanta, in cui ho solo sfiorato, a volte mancato per poco, alcuni degli artisti che avrebbero avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. L’elenco si fa lungo e talvolta doloroso, se penso ad esempio di non essere mai riuscita, per volere anche del caso, a incrociare David Bowie, a cui sono andata vicino tanto così per poi restare a guardare inerme mentre, come per magia, mutava in una stella nera.

Ricordo però che, nel 2008, in occasione della presentazione del disco Dig, Lazarus, Dig! il mio spirito trovò finalmente un po’ di quiete. Con Ondalternativa presenziammo alla conferenza stampa di presentazione del disco e quel giorno in quella stanza realizzai che, per una volta tanto, mi trovavo nell’epoca giusta al momento giusto. Per una volta entravo in contatto, per qualche fugace ma indelebile istante, con uno degli artisti che con la sua musica mi aveva e mi avrebbe sempre toccato nel profondo.

Nick Cave si presentava esattamente come lo avevo immaginato: con il completo scuro elegante e la camicia un po’ sbottonata, a suo agio con le domande dei giornalisti ma mai spocchioso; sempre gentile, curioso, attento. La cosa che però mi è rimasta più impressa, e che riscontro ancora oggi dopo sedici anni, è la profonda autenticità che emanava. Sembrava che, incrociando quello sguardo intenso e mai sfuggente, avresti potuto leggergli dentro. 

La sua penna ha dato voce ad assassini, pazzi e reietti perché era quello che i suoi occhi riflettevano; ai demoni, perché la sua anima ne era intimamente abitata.

ph. Ian Allen

But if you’re gonna dine with them cannibals, sooner or later, darling, you’re gonna get eaten”. Incredibilmente profetico nei suoi stessi versi, in “Cannibal’s Hymn” (dal doppio album Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus, 2004) il poeta del rock lanciava un monito tanto inquietante quanto chiaro: se continui a mangiare insieme ai cannibali, prima o poi verrai mangiato.

 

E, come lo stessero tornando a cercare, i suoi fantasmi hanno tentato di riportarlo nel baratro attraverso una serie di tragedie che hanno colpito la sua sfera personale. Da Skeleton Tree in poi, l’arte di Cave è stata fortemente ed inevitabilmente collegata al processo di elaborazione dei lutti che lo hanno travolto, all’interno del quale possiamo identificare Wild God, diciottesimo lavoro in studio con i Bad Seeds, con la fase di guarigione.

Come a voler sigillare l’ormai imprescindibile sodalizio con Warren Ellis, con il quale nel 2021 firmava Carnage, il disco è stato prodotto da entrambi e, in aggiunta alla sua storica band, porta il suo contributo anche Colin Greenwood, bassista dei Radiohead, con cui Cave era stato in tour negli ultimi mesi.

Non ci troviamo alle prese con un concept, proprio no, ma è altrettanto lampante l’interconnessione che i brani hanno fra loro. Non c’è una sola storia da raccontare, ce ne sono moltissime, tante quanti i personaggi che le abitano. Tutti, però, sembrano andarsi a radunare intorno al fuoco mistico di “Conversion”, nella quale allegorismo e visioni intimistiche si fondono insieme per far luce nel buio. Luce e acqua, elementi vitali e simboli biblici, sono gli architravi del disco, la cui apertura non poteva che essere “Song of the Lake”. Come raccontava qualche tempo fa all’interno del suo “The Red Hand Files” (blog attraverso il quale il musicista australiano dal 2018 ha aperto un dialogo molto intimo e sincero con i propri fan), l’elemento dell’acqua si è rivelato, dopo la morte del figlio Arthur, per lui salvifico. Un episodio di immersione in un freddo lago è stato un’epifania che lo ha risvegliato dal torpore, facendolo sentire di nuovo vivo, regalando inaspettatamente conforto ad un corpo distrutto dal dolore.

File rouge che lega indissolubilmente tutti i brani, la consapevolezza di salvezza riecheggia ovunque nel disco, a partire dal cuore propulsore e title track, “Wild God”: eccezionale country blues che esplode in un finale orchestrato degno dei vecchi fasti di Cave e dei suoi Bad Seeds, con l’assenza però del tratto nichilista che ne caratterizzava la scrittura. Questo disco è altresì così ricco di segni vitali, di riferimenti biblici, musicali e personali, che parlarne in queste sedi diventa forzatamente riduttivo. Prendo “Frogs”, quella che maggiormente ha colpito me per la complessa stratificazione compositiva, e trovo solo in essa Caino e Abele, Kris Kristofferson e la sua “Sunday Morning Coming Down”, lo stesso Cave e sua moglie, che camminano pacifici dopo una messa domenicale.

Sono molte poi le carezze che regalano brani come “Final Rescue Attempt”, attraversata da tempeste elettriche, che si conclude in una confortante ripetizione mantrica di “And I will always love you”; o in “Long Dark Night”, una di quelle ballate senza tempo che solo Sua Maestà Re Inchiostro, quando lega la sua anima al pianoforte, ci può regalare.

Meravigliandosi di quanto, nonostante tutto, sia straordinario il mistero della vita, sembra davvero che Nick Cave abbia trovato la sua arma contro l’oscurità. E illumina tutto regalandoci la risata fanciullesca di Anita Lane (musa delle sue canzoni, ex amante, ex membro dei Seeds ma soprattutto sua grandissima amica, venuta a mancare nel 2021), nella toccante registrazione che possiamo ascoltare alla fine del brano dedicatole, “O Wow O Wow (How Wonderful She Is)”.

 

Do you remember we used to really, really have fun?

‘Cause we’d be just by ourselves, mucking around, really relaxed, not under pressure

I guess that’s how we’d make up songs!

I… I remember we were in bed, and then we imagined somebody upstairs

I don’t even know if we heard footsteps, or imagined footsteps and then imagined the story

That was in that little place opposite Brixton Prison

I didn’t even realise that everyone wasn’t like that.

We tried to write a contract of love

But we only got as far as doing the border

There was never any words in it

 Which I thought said a lot more than anything else

 

Ancora, forse per l’ultima volta, musa, Anita racconta le origini di “From Her To Eternity” in un messaggio che è un’ondata di luce: travolge, riempie gli occhi e l’anima.

Dopo questa commovente testimonianza l’elemento dell’acqua torna, a guarire le ferite e a chiudere il cerchio, con le prime note di pianoforte in “As the Water Cover the Sea” che si trasformano in onde danzanti, accompagnate dal cantato salmodiante che esplode insieme ad un coro gospel, potente e curativo.

Non sono mai stata fan dei numeri e delle classifiche, e non è mia intenzione stare qui a discutere sulla posizione in cui questo disco dovrebbe trovarsi, in una selezione dei migliori nella carriera di Nick Cave. Ma sarebbe assurdo non coglierne l’importanza. Se c’è chi storce il naso davanti al cambiamento, chi nutre in fondo la speranza di ritrovare lo stesso piglio degli anni ’90, beh, forse dovrebbe arrendersi all’idea che Nick Cave non è mai stato un personaggio. E, va di conseguenza, la sua storia e l’evoluzione personale hanno profondamente cambiato la sua scrittura e la sua musica, che non tornerà mai quella di prima. Ma anche cambiando pelle, per citare il cantante stesso, un serpente resterà pur sempre un serpente. E lui resta pur sempre un fuoriclasse.

Wild God ne è il manifesto: non solo è un album scritto, arrangiato e orchestrato con cura maniacale (andatevi a vedere, giusto per entrare nel mood, il video trailer del disco realizzato in tre parti da Megan Cullen, se ancora non l’avete fatto); ma si erge a testimonianza di un momento chiave nella vita dell’artista.

 

Ascoltarlo mi ha fatto sentire, ancora una volta, al posto giusto nel momento giusto.

E non è di certo un fatto da dare per scontato.

  

 

Track listing:

1. Song of the Lake

2. Wild God

3. Frogs

4. Joy

5. Final Rescue Attempt

6. Conversion

7. Cinnamon Horses

8. Long Dark Night

9. O Wow O Wow (How Wonderful She Is)

10. As the Waters Cover the Sea

Immagine che rappresenta l'autore: Alessandra Sandroni

Autore:

Alessandra Sandroni