ALOSI – CULT
Recensione a cura di Davide Capuano
Variegato, imprevedibile ma con una forte impronta personale: Cult (La Tempesta Dischi), l’ultimo lavoro di Pietro Alessandro Alosi segna un’ulteriore capitolo del suo percorso solista. Dopo l’annuncio, arrivato ormai sei anni fa, della momentanea pausa con il progetto Il Pan del Diavolo, in duo con Gianluca Bartolo, e a tre anni dal suo esordio da solista 1985, il cantautore palermitano riabbraccia la chitarra per dare alle sue parole in musica una forma finale libera nel suo essere viscerale.
Rispetto al suo predecessore, Cult alimenta in maniera decisa la volontà del suo autore di slegarsi dalle dinamiche ritmiche e concettuali che lo accostavano fermamente a quelle sonorità folk-rock di stampo statunitense per intraprendere un viaggio sonoro attraverso contaminazioni stilistiche che attingono da diverse geografie musicali; viaggio coadiuvato da collaborazioni di livello, su tutte la presenza della chitarra graffiante di Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion, I Hate My Village), per ritornare di pezzo in pezzo in territori strettamente confinanti al cantautorato italiano.
La prima traccia ci trasporta subito in località esotiche rispetto alla nostra penisola: le sonorità reggae sono importate direttamente da Kingston da Stevie Culture (ex The S.A.N.E.), con cui Alosi stabilisce un duetto in cui il tratto stilistico principale resta di stampo cantautoriale, accompagnato da un crescendo di piano e tromba che apportano un sound fresco ed orecchiabile.
Il segno più accattivante della visceralità di questo lavoro è senz’altro “Blues Animale”, in cui emergono la passione ed i trascorsi in ambito blues rock di stampo statunitense del suo autore; il lavoro di chitarra di Viterbini è dominato dal fuzz e dalle sue sfuriate tra un verso e l’altro, campo da gioco in cui si può definire un fuoriclasse per padronanza ed ecletticità, ed il risultato è un brano energico, vibrante, in cui la voce di Alosi fuoriesce sofferente, ma più viva che mai.
C’è spazio anche per episodi più intimisti come “Camel Blue”, malinconico inno dello smarrimento nella vita quotidiana di un uomo separato da un amore ancora ardente (‘Che non mi va di prendere il controllo / Ma neanche di naufragare / Tutte queste sere a lavorare / Ci sono attimi da non lasciare andare / E nel frattempo il mondo va avanti uguale / E senza te non sembra migliorare’), o “Fuori Programma”, in collaborazione con Massaroni Pianoforti, traccia pop-rock che strizza l’occhio alla contemporanea scena cantautoriale italiana.
Ma anche nelle restanti tracce il fil rouge che regge la struttura dell’album è Alosi stesso e la sua chitarra imbracciata come fedele compagna della sua espressività, ora ruvida come in “Cult” o “Una Vita in Gioco” che richiamano maggiormente i suoi precedenti lavori, ora comprimaria ancora di Viterbini in “Universali”, ed infine accompagnatrice della piano ballad finale di stampo british, “Punto di Non Ritorno”.
Seppur viaggiando tra diversi continenti, l’universo musicale di questo lavoro è saldamente retto da Alosi, ad un’importante prova di maturazione artistica in cui si dimostra capace di mantenere accesa la fiamma dell’animo folk-blues che porta dentro, dandole una firma d’autore e mostrandosi capace di far nascere collaborazioni fluide e spontanee che completano il quadro di un lavoro identitario e multi-facce allo stesso tempo.
TRACKLIST:
- Downtown (feat. Stevie Culture)
- Blues Animale (feat. Adriano Viterbini)
- Una Vita in Gioco
- Cult
- Camel Blue
- Fuori Programma (feat. Massaroni Pianoforti)
- Universali
- Punto di Non Ritorno
VOTO: 6,5