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Protomartyr – Locomotiv Club (Bologna), 13.11.2023

Live report a cura di Davide Capuano

È sempre un piacere varcare le soglie del Locomotiv Club, storico locale della periferia bolognese che sin dagli inizi si è posto come un luogo di culto per la scena alternativa del capoluogo emiliano. L’aria è carica di quel freddo pungente che ormai inizia a diventare il leitmotiv delle giornate autunnali, quindi quale migliore occasione per scaldarsi con uno dei tanti appuntamenti sold out nella ricca proposta stagionale del club?

A fare le veci del focolare sul palco è un nome di riferimento nella scena post-punk contemporanea come i Protomartyr: la formazione di Detroit – non una città a caso quando si parla di chitarre distorte – fa tappa a Bologna, prima delle due date italiane di promozione del loro più recente lavoro, l’ottimo Formal Growth in the Desert, presentato ad inizio estate come successore di Ultimate Success Today, parte di un ciclo ancora in corso in cui la band continua ad allargare i propri orizzonti stilistici, arricchendo di soluzioni ricercate il loro timbro ora punk, ora un po’ cupo e funereo, che in serate come questa si sposa alla perfezione con la nebbia e umidità che calano sulla notte della pianura padana.

In queste occasioni è anche un motivo di respiro guardarsi intorno nella platea gremita, il giubbino può finire legato in vita giacché si inizia a stare più stretti tra un pubblico giovane, che riconosce la paternità dei Protomartyr per una buona fetta di post-punk contemporaneo, ma anche ricco di amanti del genere di lunga data, a naso anche più lunga degli albori degli anni ’10: questo tipo di eterogeneità demografica unito al rosso predominante delle pareti del club – ben addobbate di locandine di live storici di nomi che non lasciano indifferenti – ti fanno capire di essere finito nel posto giusto alla serata giusta.

Prima del main act tocca ai bolognesi Korobu fare un opportuno check del pubblico: la band guidata da Gianlorenzo De Santis accompagnato in trio (occasionalmente, quartetto), porta una scaletta composta da brani del loro esodio Fading | Building lasciando spazio anche ad inediti. Una proposta che non presagisce forse i toni gravi dei Protomartyr, ma che fa loro un cenno attraverso linee di basso ipnotiche e groovy, vocalizzi lacerati e disperati, testi ricchi di emotività urlata da Giallo mentre sul palco si alterna una continua evoluzione nell’utilizzo di percussioni, maracas e drum pad: quanto basta per ritenere il pubblico sufficientemente coinvolto e collaudato.

E’ questione di una mezz’oretta che sul palco iniziano ad apparire prima Greg Ahee, seguito poi dal resto della band capitanata dalla suggestiva presenza di Joe Casey, agghindato con camicia e blazer scuri che gli donano un’aria da di conduttore del suo stesso spettacolo, impugnando una birra in lattina che lo accompagnerà per tutto il live. E da lì pochi compromessi: l’introduzione allo spettacolo è affidata all’esplosione di “Make Way” e “3800 Tigers” da Formal Growth in the Desert con cui immediatamente ci si immerge negli avvolgenti riff di basso scuola darkwave, i riff sono un continuo susseguirsi di sonorità taglienti che hanno quasi il dovere di coinvolgere il pubblico in una macabra danza punk. A proposito, è tanto esilarante quanto inquietante il momento in cui Casey redarguisce qualcuno dal pubblico colpevole di chiacchierare allegramente con un allegro ‘We are not here for chatting, shut the f**k up!’. La sua presenza è quella di un anima tormentata sul palco, che cerca continuamente il contatto visivo col pubblico per spaventarlo col suo tono di voce grave, per poi voltarsi, spesso di spalle, e lanciarsi col suo cantato più viscerale nei momenti più propriamente punk, che lo rendono una delle voci più riconoscibili del panorama.

Nell’ora e mezza proposta dai Protomatyr c’è tanto dell’ultimo lavoro che più ne esalta i lati cupi insieme a pezzi come “Maidenhead” o “Scum, Rise! (Under Color of Official Right)” o “My Children (Relatives in Descent)”, ma anche spazio per l’esaltazione più pogante andando a ripescare da The Agent Intellect (“I Forgive You”, “Pontiac 87”) o momenti di distaccata emotività in cui Casey ricorda la madre, scomparsa prima dell’uscita dell’ultimo lavoro: pubblico assorto in un’alienata contemplazione per tutta la durata del live, qualche doveroso crowdsurfing sul finale per tributare una formazione che sa fare sfoggio di tutto il carisma, sonoro e non, che l’ha resa un vero e proprio culto underground. Lentamente, in fila, la gente torna ad incappucciarsi: fa anche più freddo di prima, ma la sensazione è che dopo un live del genere puoi affrontarlo con più accettazione.

 

Setlist:

  1. Make Way
  2. 3800 Tigers
  3. Windsor Hum
  4. Elimination Dances
  5. Fun in Hi Skool
  6. A Private Understanding
  7. Maidenhead
  8. Scum, Rise!
  9. The Author
  10. Polacrilex Kid
  11. My Children
  12. I Forgive You
  13. Feral Cats
  14. Pontiac 87
  15. Processed by the Boys
  16. Jumbo’s
  17. The Devil in His Youth
  18. Why Does it Shake?

 

Immagine che rappresenta l'autore: Davide Capuano

Autore:

Davide Capuano