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Fuori dall’Estragon (Bologna) aspettano centinaia di persone. Stasera tornano a suonare in Italia gli Stone Sour, la band capitanata da Corey Taylor, al fianco, come negli Slipknot, di Jim Root. Oltre al chitarrista Josh Rand e il batterista Roy Mayorga.
Le porte si aprono, il fiume umano riempe il locale, tutti in attesa dello show.
E non c’è da attendere molto prima che gli australiani Karnivool aprano la serata. Band progressive, due album e un EP all’attivo, più un album, Asymmetry, di prossima uscita. Probabilmente sconosciuta a molti dei presenti (anche se non mancava chi cantava convinto tutte le parole), ma che riesce a catturare l’attenzione del pubblico, con un sound piacevole e una certa originalità.
Il loro set va avanti per una quarantina di minuti, dopo di chè il palco resta vuoto per una mezz’ora.
In attesa.
Stanno per arrivare.
Sta per iniziare.
Luci spente.
Risuona l’inizio di Gone Sovereign.
Palco ancora vuoto.
Poi…
…eccoli.
Esplodono.
La cosa che salta agli occhi di tutti, inevitabilemnte, dal primo istante, è l’incredibile carisma di Corey Taylor. Arriva, e il pubblico è immediatamente suo. Senza niente togliere agli altri, ma Corey si trascina dietro una carica e un fascino pazzeschi.
Da Gone Sovereign si passa direttamente a Absolute Zero, i due singoli estratti dall’album "The House Of Gold & Bones part 1", e ormai collaudata doppia intro per i concerti della band.
Si passa presto a pezzi di vecchi album, come Mission Statement, e a un breve "sondaggio" tra il pubblico, per scoprire quanti avevano già visto gli Stone Sour, e chi era lì per la prima volta (gli aficionados, ovviamente, non mancavano). E per dire che ciò che unisce tutti è che siamo tutti "Made Of Scars". Lacrime agli occhi. E non sarà l’unica volta in questa serata.
La setlist ruota principalmente attorno a "The House Of Gold & Bones part 1", con più di uno sguardo verso gli album precedenti.
L’unico pezzo tratto da "The House Of Gold & Bones part 2" sarà Do Me A Favour, ma è il solo momento, e si torna subito sul part 1, con l’aggressiva RU486. Tra le prime file, il pogo deve essere stato selvaggio.
Che si tratti di canzoni aggressive e ruvide o di dolci ballate, Corey canta in modo impeccabile e coinvolgente: se lo guarda negli occhi il suo pubblico, se lo conquista. Lo fa cantare, ammicca, risponde. Qualcuno grida "I love you, Corey!", lui con un sorriso "I love you too".
Da sinistra a destra, sul palco sono schierati Josh Rand, in camicia, papillon, panataloncini e chitarra; al basso si fa sentire il turnista Johny Chow; Roy Mayorga non perde un colpo alla batteria; Jim Root si erge sul palco, statuario con la sua chitarra, e con l’aria di guardarsi sempre attorno.
Una pausa dalla discografia degli Stone Sour, con un omaggio ai Black Sabbath ("una band senza la quale nessuno di noi, nessuna band metal sarebbe stata possibile"): una cover di Children Of The Grave.
Ci aspetta un altro momento davvero speciale, con un altro dei pezzi più amati: la magnifica Say you’ll Haunt Me, cantata a gran voce dal pubblico.
Siamo solo all’inizio: un accenno a Nutshell degli Alice in Chains, e Corey Taylor è da solo su un palco semi-buio, stand del microfono innanzi, e chitarra acustica in mano. Ed è un’esplosione quando il pubblico riconosce le prime note di Bother. Un’esibizione davvero sentita. Emozionante quando, senza guida alcuna, il pubblico si prende carico dei controcanti in fondo alla canzone. L’emozione del momento sembra davvero arrivare fino sul palco, Corey si mette una mano sul cuore e sembra commosso.
Subito dopo, è una versione acustica della celebre Through Glass a far muovere mani e ugole.
In modo un po’ inaspettato, dato che questo era per ora il primo show da headliner in questa porzione di tour, e quindi la scaletta è stata modificata rispetto alle date precedenti, parte un altro pezzo di The House Of Gold & Bones part 1: The Travelers part 2. Una di quelle perle che meritano di essere conosciute ma che forse, non diventando singolo, rischia di restare nascosta nelle pieghe dell’album. Ma per il significato e l’atmosfera che sprigiona, merita il posto in setlist. La prima parte del concerto si chiude, come l’album, con Last Of The Real. Ulteriore graditissima sorpresa.
L’encore ha inizio con Hell & Consequences.
Prosegue con uno dei pezzi del primo album da sempre amato dal pubblico nei live: Get Inside.
Il gran finale è ovviamente 30/30-150: la canzone della riscossa. La canzone su come per anni si sono sentiti dire che non erano nessuno, e dove credevano di arrivare, loro, ragazzi di uno sperduto paesino dello Iowa?
Ecco dove sono arrivati: a tour mondiali e acclamazione di pubblico e critica. A album sempre più maturi e con ancora voglia di sperimentare e mettersi in gioco.
Salutano il pubblico, il concerto è finito. L’emozione ancora no.
Setlist:
Gone Sovereign
Absolute Zero
Mission Statement
Made of Scars
Do Me a Favor
RU486
Children of the Grave (Black Sabbath cover)
Say You’ll Haunt Me
Nutshell (Alice in Chains cover)
Bother
Through Glass
The Travelers, Pt. 2
Last of the Real
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Hell & Consequences
Get Inside
30/30-150
Recensione e foto a cura di Lisa Donatini