LIL YACHTY – LET’S START HERE.
Recensione a cura di: Davide Capuano
Immaginiamo di essere nel 2016, di ritorno da una sabato sera spensierato con i soliti amici. Chi guida decide che musica ascoltare, e in questo caso l’autista designato nell’incertezza del momento mette su una traccia dei Migos, ridacchiando del nuovo fenomeno musicale identificato come trap, pur trovandoci qualcosa di intrinsecamente magnetico. Tutta la comitiva è cresciuta a pane e classic rock, non può che concordare che per molti versi questa nuova corrente sia antitetica ai precetti portati avanti nei precedenti cinquant’anni di musica, che la sua durata sia cronometrata e la sua diffusione sia spinta molto dai trend social, e che in definitiva non si potrà mai trovare nello stesso discorso di un capolavoro come Dark Side of the Moon. Tutti annuiscono, e malgrado la soundtrack non delizi il loro orecchio, sono soddisfatti della serata appena trascorsa. E non sanno minimamente che le cose, un giorno, sarebbero cambiate drasticamente.
Non era facile prevedere un’uscita del genere sette anni fa, ma ad essere onesti anche quando lo scorso anno lo stesso Lil Yachty annunciò che il suo prossimo lavoro sarebbe stato “non-rap, alternative e psichedelico” non aveva reso quanto Let’s Start Here. potesse avere un impatto così irruente. L’eccentrico rapper di Atlanta, a tre anni dall’ultimo Lil Boat 3, ritorna in scena decidendo di romperla completamente con 57 minuti che si ergono come una pietra angolare, allontanandosi in numerose esplosioni sonore e contaminazioni di genere che per lunghi tratti disorientano l’ascoltatore, facendogli dimenticare la paternità artistica di ciò che sta ascoltando. Ci si chiede con estrema facilità se ci sia dietro lo zampino di Kevin Parker già dal primo pezzo, “the BLACK seminole.”, per quanto la struttura ritmica e i riverberi space rock ricalcano i solchi dei Tame Impala di Lonerism, mentre la perplessità si trasforma in curiosità quando i vocalizzi glitchati di Diana Gordon riportano in vita un eco digitale di The Great Gig in the Sky. La mossa è di quelle azzardate, un all-in fortissimo al primo pezzo che dà un senso compiuto alla dichiarazione d’intenti rilasciata dall’artista un anno prima: siamo effettivamente in un territorio neo-psichedelico, ma il timbro vocale è quello solito di Yachty, un po’ mumble, morbido, che fissa un punto di riferimento in questo allucinato viaggio sonoro.
I saliscendi sono tanti e difficili da tracciare: si passa dalla già citata neo-psichedelia – tema musicale quasi onnipresente – a influenze di matrice black, episodi soul ed r’n’b alla Frank Ocean, su tutte l’orecchiabilissima “drive ME crazy!”, composta insieme alla sagace mente pop di Mac DeMarco, groove di basso che strizzano l’occhio a tutta la scuola funk degli anni ’70 mentre si intervallano creativi episodi di profonda introspezione come “:(failure:(“, confessione spoken word sul tema del fallimento, o ancora, in “WE SAW THE SUN!”, un sample del conduttore Bob Ross tratto dal suo celebre programma The Joy of Painting, in cui spiega il suo approccio nel riportare un’immagine su tela seguendo il flusso dei pensieri e delle emozioni. La mappa necessaria per esplorare questo album è molto particolareggiata, eppure tutto il lavoro è guidato da una produzione che lo rende estremamente godibile e scorrevole, in cui sta all’ascoltatore decidere come e quanto addentrarsi. In superficie si apprezzano brani più catchy come “THE zone~” o “the ride-“, ma discendendo anche in quelle che sono le tematiche dell’album – che anche in questa veste concept assume un’identità non banale – troviamo solitudine, incapacità di gestire il successo e la fama, alienazione e desiderio di evasione.
Lil Yachty è approdato a quello che è il suo personale To Pimp a Butterfly, di cui pur non condividendo l’importanza extra-musicale, lo segue nell’intento di attingere da svariate correnti artistiche e soprattutto lo affianca attraverso l’audacia nel presentare un lavoro di questa portata in un genere che non sembrava per nulla pronto ad un’esplosione così singolare; eppure l’accoglienza si è rivelata unanimemente entusiasta, quantomeno perché il coraggio e l’innovazione trovano sempre il giusto riconoscimento. Sette anni fa quella comitiva poteva essere la comitiva di tutti noi, e nessuno avrebbe potuto scommettere su un’evoluzione simile: ma in fondo, il progresso nella musica è un fenomeno che amplia continuamente le possibilità di contaminazione, anche quando gli ingredienti sono pescati da poli opposti: se Let’s Start Here. suona come una dichiarazione dell’artista, gli scenari che si delineano da qui in poi per Lil boat appaiono davvero promettenti.
TRACKLIST:
- the BLACK seminole.
- the ride-
- running out of time
- pRETTy
- :(failure:(
- THE zone~
- WE SAW THE SUN!
- drive ME crazy!
- IVE OFFICIALLY LOST ViSiON!!!!
- sAy sOMETHINg
- paint THE sky
- sHouLd i B?
- The Alchemist.
- REACH THE SUNSHINE.
VOTO: 8,5