(2025, Stock-a Production)
Terzo disco per i fiorentini God of the Basement, che per la prima volta si misurano con i testi in italiano.
La band, composta da Tommaso Tiranno (voce), Enrico Giannini (chitarra e sampling), Rebecca Lena (basso e visual art) e Alessio Giusti (batteria), mantiene comunque la forza del sound di matrice angloamericana che aveva caratterizzato i dischi precedenti, anzi va ad accentuare una certa ruvidezza: il punk-rock si mescola con un’elettronica oscura e glaciale, finendo per sfociare in sonorità cross-over che ammiccano a certi Massive Attack più abrasivi (“Acqua alla gola”), ma anche in momenti più drum and bass.
Dalla caustica “Bivio” si passa ai tribalismi di “Serpe al suolo”, per poi trovarsi ipnotizzati da “Delirio”, con quella linea di basso così sensuale e vibrante.
Se “Ogni cosa ha già il suo nome” ci porta su territori che sembrano appartenere al mondo della Meg più recente, è il singolo “Misera” a fare da cifra distintiva del disco: un pezzo frenetico, su cui è impossibile rimanere fermi; la voce di Tiranno ci trascina in un vortice che affonda in un groove oscuro e vischioso.
Il disco si chiude con “Agata della Pietà”, una ninna nanna distorta e inquieta, che gioca con le dinamiche tipiche della canzone italiana e le trasfigura in un’elettronica ovattata che a sua volta poi si trasforma quasi in un canto corale natalizio.
I God of the Basement costruiscono un disco sfaccettato, che riesce ad essere ansiogeno al punto giusto ma anche con momenti molto catchy: restano una band da tenere d’occhio, che non ha paura di sperimentare in nome dell’originalità.
Agata della Pietà