I Charles in the Kitchen sono una giovane formazione svizzera con una descrizione abbastanza particolare, Kitchen power rock’n’roll dalla Svizzera con influenze Weight Watcher per una musica sana ed equilibrata. Diciamo che partono con tanta simpatia.
Il loro primo album è in uscita in questo periodo e si intitola “Charles in the Kitchen”, disco composto da 12 brani rock’n’roll, ma veniamo ai contenuti che questi giovani ragazzi ci propongono.
La prima traccia mi risulta pesante e ripetitivi, ma i ragazzi cominciano a piacermi sul secondo pezzo, Fake rock’n’rolla, questa base tutta rock accompagnata da voci in falsetto e uh irriverenti, scelta molto carina e azzeccata.
L’album scorre tra tracce più intense e tracce meno convincenti, ma per essere all’esordio i Charles in the Kitchen mostrano già molto talento e creatività nella composizione e nell’esecuzione. E’ un gruppo da tenere sotto controllo, al momento non si può ancora dire se hanno la strada spianata e se avranno successo, le band all’esordio si devono occupare ancora di tantissimi aspetti oltre alla musica, ma da un primo ascolto promettono bene.
Buona anche la produzione complessiva dell’album, suona bene e lo sporco del rock’n’roll viene sapientemente disseminato nei brani. Bravi anche per le voci, dai falsetti ai cori tutto testosterone (My own highway), mostrano una buona capacità di controllo e riescono a trasmettere ironia e forza a seconda del pezzo, il loro live deve essere sicuramente interessante.
Non mi lancio oltre un 7, ma solo perché sono veri esordienti e hanno ancora tantissima strada davanti. Sicuramente promossi perché l’ascolto è piacevole, ogni brano ha la sua anima e la sua peculiarità, scorre molto bene, senza annoiare o appesantire l’ascolto nonostante il primo brano non mi sia piaciuto più di tanto.
01. The Love threat
02. Fake rock’n’rolla
03. Swing de nuit
04. Crux on the stages
05. My own highway
06. Bang you tonight
07. A monk alone
08. Speed me date me drop me
09. Baby get fixed
10. Con divers
11. 888 finish
12. I wanna go to a gay bar
Recensione a cura di: Valentina Ferrari