Inutile negarlo, un po’ di attesa attorno al nuovo album dei Black Rebel Motorcycle Club si era venuta a creare. In parte anche come risposta al fatto che i loro ultimi due lavori, Specter At The Feast (2013) e Beat The Devil’s Tattoo (2010), non avevano affatto ottenuto il consenso desiderato. C’è chi continua a ritenere che questo sia dovuto al continuo ripetersi della loro produzione che rende ogni nuovo lavoro una copia con semi aggiunte dei dischi precedenti. Per questa porzione di pubblico, Wrong Creatures non sarà allora che un capitolo nella storia infinita di un revival del garage rock psichedelico anni ’80 con l’influenza dei, primi fra tutti, Jesus and Mary Chain. Una copia di una copia. Ma questo per chi resta focalizzato sui propri pregiudizi, ovvio.
Perché poi, c’è anche chi ha deciso di voler ascoltare quello che i BRMC hanno ancora da raccontare e per tutti coloro che lo hanno fatto Wrong Creatures non solo figura nella vetta della discografia della band, ma anche tra le migliori pubblicazioni di inizio anno. Troppo spesso si tende a confondere la coerenza espressiva con la ridondanza espositiva, ma quando c’è uno stile e la bravura di anni di gavetta, lì non c’è nessun contro-argomento che tenga. Per cui, diamo a questo nuovo album la giusta attenzione che merita.
La band americana dal retrogusto smaccatamente brit imbastisce dodici tracce dal sound acido, psichedelico e rarefatto con atmosfere che si destreggiano tra stoner (come la granitica “King of Bones” e “Little Thing Gone Wild”) e space (“Question of Faith”, “Ninth Configuration”, “Calling Them), ballad cupe (“Haunt” e la magnifica “Echo”) e un vago appeal shoegaze (“Circus Bazooko”). La traccia d’apertura, “DFF”, sensuale in tutta la sua oscurità decadente, intavola questo scenario sospeso tra momenti elettrici in modo viscerale e bagliori di nebbie ipnotiche, per concludersi con un’esplosione stellare in fase di chiusura con “All Rises”. Tutto riparte da dove finisce, questo il loro messaggio. E dopo tutti i loro crolli (tra depressioni e l’operazione al cervello della batterista Leah Shapiro) e lo stallo che si è venuto inevitabilmente a creare dopo quasi venti anni di collaborazione, allora forse bisogna davvero aprire bene il cuore per ascoltare in pieno tutte le modulazioni che si fondono insieme, scrivendo la poesia sonora.
Gran bel disco. Intenso, compatto e affascinante. Fatto per tutte quelle piccole creature sbagliate che si nutrono dei fiori malati di un’esistenza incerta, ma comunque meravigliosa.
TRACKLIST:
01. DFF
02. Spook
03. King of Bones
04. Haunt
05. Echo
06. Ninth Configuration
07. Question of Faith
08. Calling Them All Away
09. Little Thing Gone Wild
10. Circus Bazooko
11. Carried From The Start
12. All Rise
A cura di: Francesca Mastracci