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THE ZEN CIRCUS – Il Male

Credo esista un motivo ben preciso se attorno agli Zen Circus si è andata a formare, negli anni, non una fanbase ma una vera e propria famiglia allargata lungo tutto lo stivale. Un aspetto al quale non avevo mai dato molto peso ma che è tornato a ronzarmi in testa in questi giorni di ascolto de Il Male, ultimo lavoro in studio della band pisana.

Ricordo abbastanza bene la me adolescente uscire dal liceo e gioire nell’imbattersi, sui lungarni, in una panda un po’ scassata che girava con il megafono fissato in qualche modo al portapacchi, dal quale si annunciava in stile “arrotino” dove avrebbero suonato quella sera o quel pomeriggio gli Zen. Ed era sempre d’obbligo esserci. Sono passati venticinque anni (!!!) o qualcosa del genere, e sono cambiate tante, troppe cose. Eppure, ritrovo in loro ad ogni ritorno la stessa foga, la stessa voglia di farsi sentire, la stessa determinazione ed ingegno nel condividere con più persone possibili la propria musica. E tutto questo riaccende una fiamma dentro.

Questa passione viscerale si affianca da sempre all’attitudine cazzara – mi passerete il francesismo – di Andrea Appino, Massimiliano “Ufo” Schiavelli e Karim Qqru che, in questo caso, trova sfogo per la presentazione del disco in uno spassoso siparietto in cui i tre sono improbabili televenditori vecchio stile dell’album stesso, con tanto di numero telefonico funzionante ed operativo. Un invito, quest’ultimo, a prendere parte alla festa per eccezione: quella a Villa Inferno, rendez-vous ormai improrogabile ad ogni uscita discografica, un po’ come il Natale Zen. E se, come in ogni tradizione che si rispetti, si sono consolidati degli appuntamenti fissi e dei veri e propri rituali, il filo rosso che tiene insieme questa riunione di famiglia è esplicitato nero su rosa, stampatello maiuscolo, in copertina. Registrato e mixato presso Iceforeveryone Studio di Livorno e masterizzato da Christian Wright presso gli Abbey Road Studios di Londra, il tredicesimo album in studio degli Zen Circus prende le distanze dalla retorica dell’“andrà tutto bene” e dal perbenismo, per sporcarsi le mani andando ad intingerle nelle fangosità dell’animo umano.

Lo senti questo odore? / È la puzza che emana il nostro cuore / Venduto per qualche canzone d’amore / Per qualche sorriso, per qualche milione / Hai visto quanto siamo sani? / E quanto questo ci rende disumani? / Io preferisco il male, da sempre il nostro talento migliore.

La prima strofa della title track e brano di apertura del disco, mette al centro del discorso una tematica scomoda. Figli del secolo che del Male è stato l’emblema, e che si è chiuso con la percezione che il peggio fosse ormai lasciato alle spalle, in “Novecento” gli Zen Circus aprono gli occhi alla disillusione. L’intro del brano, eseguito su elettrica col palm muting, ricorda il ticchettio di un orologio, di un timer che scandisce i secondi mancanti all’esplosione di chitarre basso e batteria sul ritornello. Gli Zen danno voce alle immaginarie lamentele di alcuni dei protagonisti del XX secolo, in un connubio di sarcasmo, cinismo e un rock sporco come gli anni ’90. La marcia di chitarra basso e batteria continua il suo incedere corrosivo in “Vecchie Troie”, geniale trasposizione in un ironico sketch in cui si palesa un sentimento di astio nei confronti delle nuove generazioni. Avversione che, ciclicamente, è destinata a ripetersi col passare degli anni.

Giovane io ti odio come odiavo me alla tua stessa brutta età / Giovane io ti odio perché mi ricordi che l’umanità proseguirà / Senza di me, senza di me / Che senso ha senza di me? / Come sarà?

Convivono qui fastidio e un collerico sgomento in un polveroso noise che si addolcisce o acuisce a seconda dell’interlocutore. Da ascoltare a tutto volume in macchina, coi finestrini abbassati e il vento nei capelli, nell’esplicito intento di scordare di avere “due volte vent’anni”. Risultato assicurato.

ph. Ilaria Magliocchetti Lombi

Al rock crudo e all’indole punk si alternano ballad, laddove il sentimento dell’abbandono e della solitudine prevale quello della rabbia. “È solo un momento” è un abbraccio dato a se stessi nel momento in cui più ne abbiamo bisogno, quello della solitudine, mentre la fine di una relazione importante trova il suo commiato in “Meglio di niente”, canzone sognata da Appino e che oggi possiamo ascoltare grazie a Braulio (il gatto “batterista” nel video di Miao) che l’ha svegliato giusto in tempo per trascrivere il tutto. L’arpeggio che apre “La fine” accompagna l’ascoltatore verso la presa di coscienza che si acquisisce in età adulta, quando ci si arrende all’idea di essere diventati, in qualche modo, parte di quello contro cui abbiamo lottato.

Ridevamo dei soldi, ridevamo anche dei guai / Brindavamo alla fine di tutto quanto / Ed era facile infrangere le regole ma poi / Adesso le facciamo noi, adesso le facciamo noi […] Adesso il male siamo noi

Una chiusura toccante, un’intima consapevolezza in cui si racchiude l’anima di uno dei lavori più belli firmati The Zen Circus.

Il Male è un disco quantomai necessario all’interno di un contesto – quello contemporaneo – in cui l’appiattimento delle proposte artistiche e culturali favorisce una narrazione omologata e costantemente filtrata della società odierna. Appino, Ufo, Karim e il Maestro Pellegrini rompono questi schemi all’interno di un album in cui satira, dolore, ira e disorientamento si traducono in un sound caustico, che molto ha da spartire con quello delle origini.

Insomma, tocca anche questa volta brindare alla loro. Lunga vita al Circo Zen.

Tracklist

  1. Il male
  2. Miao
  3. È solo un momento
  4. Meglio di niente
  5. Novecento
  6. Caronte
  7. Vecchie troie
  8. Un milione di anni
  9. Virale
  10. Adesso e qui
  11. La fine
Immagine che rappresenta l'autore: Alessandra Sandroni

Autore:

Alessandra Sandroni