Quando un branco ben affiatato di vecchie volpi ti manda l’invito a partecipare a un banchetto succulento con pietanze rock and roll, come si fa a declinarlo? Non si può. Soprattutto se l’invito in questione arriva da un gruppo di musicisti, e prima ancora di amici, bravi da fare schifo. Filthy Friends (in inglese “Amici Sporchi”), questo è per l’appunto il nome della super band nata dalla collaborazione pluridecennale tra Corin Tucker delle Sleater-Kinney con il chitarrista dei R.E.M Peter Brook. Il simposio tra di loro era nato già nel lontano 1997 quando i due si esibirono insieme alle loro band durante i funerali di Lady Diana. Successivamente, si aggiungono anche Kurt Bloch (Fastbacks e Young Fresh Fellows) e di due musicisti entrambi entrati a far parte della formazione degli ultimi R.E.M.: Scott McCaughey (Young Fresh Fellows) e Bill Rieflin (Kings Crimson, Ministry). Special guest d’eccezione nel brano super tirato “Brother” dal sapore abrasivo in stile Pixies del bassista Krist Novoselic (dei Nirvana).
Sebbene questa formazione fosse collaudata già dal 2012, finora non si erano mai spinti oltre cover di tributo, principalmente consacrate a David Bowie, tant’è che chi sperava di sentirli in brani inediti sulla lunga durata ormai aveva quasi relegato a una chimera tali ipotesi. Invece eccoli qui, con il loro debut album in gran stile Invitation, uscito a fine agosto per Kill Rock Stars. E non le deludono affatto tutte le aspettative maturate nel corso degli anni, anzi!
Il disco risulta essere un connubio tra l’alt-rock con griffe punk di Corin, che ammicca alla Smith più intransigente (“The Arrival”, “Forgotten Son”) e l’inconfondibile jingle-jangle delle chitarre di Peter con venature che si immergono nel college-rock di anni ’80 (“Secon Life”), facendo continue incursioni nel folk elettronico dal sapore byrdsiano (“Any Kind of Crowd”). Il tutto condito da una buona dose di power-pop (“Makers”) e di boogie-woogie commisto a new-wave (“Come Back Shelley”). Messa così, sembrerebbe uno dei tanti collage virtuosistici fatti da grandi musicisti per pura facezia o per ricalcare nostalgie di tempi andati. Ma basta ascoltare la traccia opener per capire che qui non si tratta di divertissement e che i Filthy Friends trasudano di una loro propria energia vitale, che magari sarà anche il risultato dei destini artistici dei musicisti che ne fanno parte, ma le pulsioni che ne vengono impiegate mirano tutte verso la realizzazione di un prodotto nuovo (o comunque rinnovato). “Despierta” infatti annuncia tutta la carica combattiva della band e si presenta come un concentrato delle dosi più acide di alt, punk, college con granitici riff di chitarra a trascinare la struttura portante. Il militarismo della band viene anche sottolineato da testi che non hanno tentennamenti nel far emergere in modo chiaro e netto le loro opinioni. Proprio il brano di apertura venne presentato in occasione della manifestazione anti-Trump, a cui fece seguito una compilation dal titolo “30 Days, 30 Songs”.
Insomma, ci sono voluti venti anni per vedere i primi frutti di questa collaborazione tra musicisti, vecchi amici, gente che vive di arte e per l’arte. Qualitativamente è un lavoro realizzato al puntino, ma su questo non c’erano dubbi. Lo spirito degli anni Ottanta invecchiato, vissuto e resuscitato con classe e bravura. Un piacere non indifferente! Sperando di non dover attendere altri venti anni per godere di un banchetto del genere.
TRACKLIST:
- Despierta
- Windmill
- Faded Afternoon
- Any Kind of Crowd
- Second Life
- The Arrival
- Come Back Shelley
- No Forgotten Son
- Brother
- You and Your King
- Makers
- Invitation
A cura di: Francesca Mastracci