Report a cura di Alessandra Sandroni
Per coloro che sono cresciuti negli anni ‘90 a pane e Mtv, il ritorno in Italia dei Blur dopo otto anni di silenzio dall’ultimo The Magic Whip Tour è stato senza dubbio uno degli eventi più attesi dell’anno. Se ci aggiungiamo che, come fu nel 2015 per quella milanese, questa come headliner del Lucca Summer Festival era l’unica data italiana, abbiamo un’idea abbastanza chiara della carica elettrica che riempiva le strade del comune toscano sabato 22 Luglio.
L’aria che tira è quella delle grandi feste, delle grandi occasioni: circa 40 mila persone si sono riversate sotto le mura storiche per celebrare insieme l’atteso ritorno della band inglese. Un ritorno a sorpresa, ma prevedibile visto il movimento di quest’ultimo anno in casa Blur: a parte Alex James che ha continuato nella sua attività di produttore di formaggi, tutti i membri della band sono tornati in studio i propri side project. Due esordi, quello da solita per il batterista Dave Rowntree con Radio Songs e quello del chitarrista Graham Coxon con i The Waeve; e il ritorno dei Gorillaz di Daemon Albarn con il piacevolissimo Cracker Island, avevano fatto ben sperare i fan dei Blur che non hanno deluso le aspettative.

Uscito proprio in questi giorni, il 21 luglio, The Ballad of Darren è l’ultima fatica della band simbolo del britpop, che sceglie la nuovissima “St. Charles Square” per aprire le danze della loro unica data italiana. “Buonasera” saluta Albarn, prima di regalarci un tuffo nel passato con “There’s No Other Way” e “Popscene”, dove il ghiaccio è definitivamente rotto e i Blur sembrano divertirsi davvero sul palco. Gli anni passati ci sono e si sentono tutti: nella voce maturata di Daemon e soprattutto nella capacità di tenersi il palco, anche quando tutto sembra andare nella direzione sbagliata. Anche quando all’improvviso, su “Tracy Jacks”, salta tutto e il pubblico inizia a rumoreggiare, a chiedersi cosa stia succedendo. Albarn la prende a ridere e si sposta al piano, inizia ad improvvisare. Non c’è un filo di disappunto nelle scuse che ribadisce al microfono, quando riparte, promettendo che “non succederà di nuovo”. E invece qualcosa succede ancora, ma non c’è tempo di rendersene conto perché i Blur sono lì che se la ridono, sono già andati avanti e noi inevitabilmente ci siamo lasciati trascinare. Il sorriso e l’energia dei quattro sono senza dubbio stati l’ancora di salvezza di una serata più volte in bilico: si aggiungevano ai problemi tecnici un’organizzazione zoppicante, visuale davvero pessima per chi stava fuori dal Pit (che prendeva in grandezza metà area del concerto) con dei maxischermi ad altezza palco impossibili da vedere e l’audio che inizialmente andava e veniva. Eppure intorno a me l’unica cosa che ho potuto vedere sono stati volti sorridenti, persone danzanti e una marea bambini: che bello vedere chi è stato testimone degli anni ’90 portare i figli con orgoglio, come a volergli dire: “guarda cosa abbiamo avuto il privilegio di vivere in quegli anni”.
Coxon si prende il palco su “Coffee and TV” e si continua a cantare con “Country House” e “Parklife”. La scaletta che i Blur propongono è la rappresentazione perfetta di una band che ha avuto un percorso di cambiamento/crescita straordinario, senza mai fermarsi in un punto certo ma continuando a cercare il mutamento come parte fondamentale del processo creativo. Questo si traduce in una commistione di suoni sensazionale, in una trasformazione continua che ci fa passare dal rock sperimentale di “Timm Trabb” agli accenni punk di “Advert” per tuffarci a capofitto nello shoegaze di “Oily Water”. Un’ora e mezza circa di adrenalina pura, prima di prendersi una pausa in vista di un finale degno della memorabile serata. Di nuovo a rompere il ghiaccio è una canzone estratta dal nuovo disco, “Barbaric”, con cui i Blur rientrano sul palco e proseguono come meglio non si potrebbe, lasciando a “Girls and Boys” il compito di scaricare le ultime energie accumulate nell’aria. L’allestimento del palco è bellissimo (per chi ha la fortuna di poterlo ammirare) e le scenografie accompagnano una folla in festa, con la polvere che si alza e si disperde lentamente nel cielo, a testimoniare il coinvolgimento dei presenti. Nel silenzio religioso che si crea nell’attesa del brano successivo, Albarn incita i quarantamila a far partire un coro, sul quale poi attacca “Tender”, che ci fa prendere a tutti il cuore in mano, pronti a gettarlo sul palco. La chiusura è inevitabilmente lasciata a “The Universal”, pezzo immenso che chiude il cerchio di una serata che resterà per sempre impressa nella mente, come l’autentico amore per la musica di questi quattro ragazzi.

Le luci si riaccendono sotto le mura, le persone iniziano a defluire verso le uscite. Per le strade di Lucca fino a notte tarda nei bar si canta “Come on, come on, come on”, con una birra in una mano e l’altra sulla spalla di qualche sconosciuto che, come noi, ancora non ne ha avuto abbastanza. “Love’s the greatest thing that we have” ci hanno insegnato ancora una volta i Blur, e noi cercheremo di non dimenticarlo.
Setlist
- St. Charles Square
- There’s No Other Way
- Popscene
- Tracy Jacks
- Beetlebum
- Trimm Trabb
- Villa Rosie
- Intermission
- Coffee & TV
- End of a Century
- Country House
- Parklife
- To the End
- Advert
- Oily Water
- Song 2
- The Narcissist
- This Is a Low
Encore:
- Barbaric
- Girls & Boys
- For Tomorrow
- Tender
- The Universal