Gli Arab Strap sono da sempre dei demiurghi dell’animo umano e della contemporaneità. Riescono, attraverso i loro testi e la loro musica, a dare voce al non detto, a far risalire a galla l’oscurità delle stanze interiori, la furia di una modernità fredda e distaccata, e, anche dopo quasi tre decenni di navigazione tra le tempeste dell’esistenza, continuano a farlo con una sincerità e una potenza espressiva disarmanti.
Queste ombre plumbee del vivere e della realtà diventano luce nella dimensione live, organismi vibranti nel silenzio dissezionato dal suono. Il palco del Monk diviene così teatro di vita, linguaggio sonoro di quotidianità. Aidan Moffat è il narratore, con quella voce calda, ruvida e spesso sussurrata che sembra raccontarti pensieri inespressi e taciuti per tanto tempo, mentre Malcolm Middleton è un maestro nel gestire il suo arsenale strumentale con la calma apparente che esplode nei momenti più energici. Il resto della band crea poi la giusta atmosfera, edificando tappeti ritmici roboanti tra le luci cangianti del Monk. C’è tutto l’indie rock sghembo della band, le melodie scarne e circolari di certo post rock, l’elettronica e la forma morbida del suono, le tenebre ritmiche e i bagliori strumentali, l’impeto e la quiete, la tenerezza e la rabbia.
La setlist parte con dei brani estratti dall’ultimo album I’m Totally Fine with It Don’t Give a Fuck Anymore, con la tensione elettrica di “Allatonceness”, i battiti elettronici di “Bliss” e con “Sociometer Blues”. Arriva poi la forma cruda e feroce di “Fucking Little Bastards”, da Monday at the Hug & Pint del 2003, e la malinconia amara che profuma di assenza di “Girls Of Summer”. E ancora “The Turning Of Your Bones”, da As Days Get Dark, “Hide Your Fires”, “Compersion Part 1” e “Infra Red” da The Red Thread. Da Philophobia, anno struggente di grazia 1998, gli Arab Strap eseguono la disperazione di “New Birds” e la malinconia inquieta di “Islands”. C’è poi spazio per la disillusione di “The Shy Retirer” da Monday at the Hug & Pint e per “Strawberry Moon”, “Dreg Queen” e “Fable Of The Urban Fox”. Le luci si spengono con la carezza di “Turn Off the Light” per poi riaccendersi, nel bis, con la bellezza disperata ed emotiva di “Soaps”.
Il concerto al Monk è stato un viaggio ai confini dell’ignoto interiore, camminando lungo i bordi dell’esistenza, scavando tra cicatrici contemporanee, dolori immortali e idiomi universali, e gli Arab Strap sono stati in grado, ancora una volta, di trasformare ogni vibrazione del disagio moderno in un’onda sonora, capace di curare mentre lacera l’anima, di illuminare mentre brucia di verità. Perché in fondo la vita, così come la musica, è un po’ come una partita di basket, si vince o si perde, ma si continua sempre a giocare.
Setlist
- Allatonceness
- Bliss
- Sociometer Blues
- Fucking Little Bastards
- Girls Of Summer
- The Turning Of Your Bones
- Hide Your Fires
- Compersion Part 1
- Infrared
- Islands
- New Birds
- Strawberry Moon
- Dreg Queen
- The Shy Retirer
- Fable Of The Urban Fox
- Turn Off the Light
- Encore:
- Soaps