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Ondalternativa

Intervista ad AMPLIFIRE

AMPLIFIRE

Presentano

“GIOIA VUOTA”

Ultrasound Records

IL DISCO

Questo album scava: è una macchina del tempo, un excursus su eventi già accaduti, dei quali si possono rivedere i flashback…è anche una finestra sul mondo esterno, ingombrata però da un televisore che impedisce di vederne al di fuori, e su quello schermo scorrono i video che trasmette la macchina del tempo. Sono dei loop ricorrenti, e l’unica scelta pare essere guardarseli fino a quando da essi si sarà imparato il modo per aprire la finestra ed uscire fuori. In questo disco suonano: alle sezioni ritmiche Nicola Troiani ed Enzo Locatelli, Dario Frisone e Paolo Airoldi, Stefano Bertolotti ed Andrea Amelio; alle voci Laura Franzon, Raffaele Gigliotti, Nicola Troiani e Marco Nicolini; alle chitarre, composizione, arrangiamenti e testi Marco Nicolini. Mix di Stefano Bertolotti e Gabriele Gigli; mastering di Yonatan Rukhman; edizioni Ultrasoundrecords

1) Ciao!! Presentati/tevi. Da dove venite, chi siete?

Ciao, siamo gli Amplifire di Milano – zona Via Padova ed io sono Nik, all’anagrafe Marco Nicolini, l’ideatore di questo progetto musicale “allargato”. Sono un chitarrista Rock ed ho sempre sentito l’esigenza di scrivere la mia musica, attività che dal 2010 ho focalizzato negli Amplifire, ed ultimamente mi occupo anche dei testi. Oltre che di musica mi interessano la pittura sia classica che moderna, il fumetto soprattutto se underground anni ’80-’90, il cinema e letteratura science fiction e cerco di unire queste arti al “progetto allargato” della musica Amplifire, per esempio dipingendo io stesso dei quadri intitolati alle mie canzoni o collaborando con altri artisti, quando ciò aumenti e valorizzi i rispettivi contenuti delle nostre discipline.
2) Qual è l’artista che maggiormente vi ha ispirati? Sapreste consigliare un lavoro uscito negli ultimi 5 anni che ritenete veramente degno di nota? Perché?

Un nome solo come ispirazione? è davvero difficile scegliere, con tanta musica degna di nota: penserei a Zappa o i Beatles ma forse sembrerebbe pretenzioso citarli, però il loro grande eclettismo e libertà nell’approccio musicale saranno sempre un faro nella notte, per me…Poi, cercando davvero di circoscrivere le influenze, non posso non pensare a David Bowie, a Robert Smith, a Steven Wilson, ad Adrian Borland ed a Trent Reznor che hanno saputo portare i loro demoni nelle loro canzoni, forse solo per raccontarli o forse per guardarli in faccia e così provare a combatterli.

Ascoltando quasi sempre musica del passato – anche se certa musica non ha tempo – mi è difficile individuare un grande lavoro degli ultimi 5 anni, però il nome che senz’altro mi balza alla mente è Gizmodrome, perché è un incredibile unione di musicisti che hanno un ruolo di prim’ordine della storia del Rock. Ma non basta: l’iniziativa è di origine italiana (una volta tanto…) ad opera del maestro Vittorio Cosma, tanto serio nel suo professionalissimo curriculum musicale quanto scherzomane (e comunque serio) nelle scorribande con Elio.

Costui ha messo insieme un team di lusso, chiamando a sé il batterista dei Police Stewart Copeland, il cantante/leader dei Level 42 Mark King, considerato fra i migliori bassisti al mondo ed infine, un genio della sperimentazione sulla 6 corde, Adrian Belew che considererei più artista d’avanguardia che semplice chitarrista. Già il lavoro di mettere insieme queste personalità e ricavarne un disco basterebbe per ricordarli, ma in più la loro musica è riccamente, bella ed ispirata. Nel loro album si possono trovare le influenze dei trascorsi dei componenti ((Zappa, Talking Heads, King Crimson per esempio) ma anche altro, le aspirazioni alternative ai Police di Stewart, che qui si fa anche chitarrista punk e cantante front-man, la leggerezza di un corista d’eccezione come Mark King, che ha inventato il Jazz-Pop-fusion ma che qui può rilassarsi senza stare a centro palco, e l’allegria generale che invidio a Cosma quasi più della sua maestria musicale…

3) Parlateci un pochino del vostro ultimo lavoro. Come è nato?

è una questione fisica: la mia musica inizia ad addensarsi nel tempo, lentamente, qualche brano alla volta…quando cominciano ad essercene vari che “premono” per uscire fuori dal computer nel quale li raccolgo, non posso più ignorarne il peso, la massa, la forza di spinta e devo dedicarmici.

Ciò può diventare anche una sorta di maledizione e questa volta lo è stato senz’altro, anche perché avevo tante parole da dire: le di solito affidavo a qualcuno che collaborava ad unirle alle mie musiche. Stavolta volevo, dovevo parlare di cose che mi succedono, che mi sono successe, di cose che mi racconto durante le mie riflessioni…non in modo didascalico, però. Come un quadro delle avanguardie dei primi del ‘900 mi piace si possa leggere, interpretare in modo personale ciò che faccio. Un brano di “Gioia vuota” dice “parlo con me stesso” ma già un paio d’anni fa queste considerazioni volevano farsi parole e musica, uscire da volatili o insistenti loop mentali…Lo stesso titolo dell’album credo lo possa definire, almeno in sintesi: una gioia può essere un sentimento che riempie, e durante la vita lo si prova spesso. Se la gioia è vuota, però, lascia

Infine questa volta, più del solito, l’esigenza era che il lavoro si avvalesse di collaborazioni, di poter contare sugli apporti di altri musicisti, cantanti, anche produttori senza però subire i vincoli, le limitazioni di una ideazione collettiva, di un “inventare insieme” la musica che ormai sento sempre più mia e che, nel male e nel bene, farei sempre più fatica a comporre a più mani. Meglio proporre il brano giusto alle persone giuste, coordinare i lavori del team e fare in modo che ognuno possa esprimersi al meglio nell’ambito di uno o più brani, e così ho fatto. Le difficoltà sono state molte, ma anche la soddisfazione di condividere i miei brani con tre band da studio differenti per farne un unico lavoro. Ad oggi, fine 2020, è passato un anno dalle sessioni di registrazione realizzate quando ci si poteva incontrare in sala prove o in studio a suonare insieme, poi c’è stata la pandemia che ha reso tutto più…strano, e la possibilità tecnologico/organizzativa di lavorare da remoto è diventata un’esigenza. Le tematiche di Gioia Vuota sono personali e qui rientra in gioco la “maledizione” di cui sopra: ho voluto raccontare, senza allungare il brodo con troppi dettagli, ciò che sento di sbagliato nella mia vita, ed in parte ci sono riuscito…
4) Qual é l’artista piu’ sopravvalutato e quello piu’ sottovalutato sulla scena musicale italiana e non e perchè?

In molti non hanno ricevuto la dovuta attenzione, ma chi ritengo il più sottovalutato l’ho citato poc’anzi: Adrian Borland, fondatore dei Sound. Non è italiano però rispetto al periodo in cui è stato attivo è senza dubbio stato misconosciuto anche nella sua terra. Inserito nella scena Post Punk inglese è un poeta maledetto, nel vero senso della parola: soffriva anche a livello psichiatrico, ma la sua poetica è intensissima, ispirata, sofferente ma anche speranzosa, molto introspettiva. Non solo le parole ma anche la sua musica, la sua chitarra ed il suo canto erano poesia e le atmosfere di certi brani dei Sound sono per me di una bellezza lancinante, forse inarrivabile. Il disagio della sua esistenza poi è finito sotto al metrò di Londra, una mattina che lo aspettavano in studio di registrazione: può essere che la sua vita tormentata e la sua fine così dura abbiano fatto sì che il mondo non voglia fare i conti con la sua memoria…

Come più sopravvalutati devo ancora citare degli stranieri – si parla di successo mondiale – cioè gli Oasis che, con le loro canzoncine cantate con la loro ostentata antipatia, la voce per me noiosissima ed autoindulgente, le chitarre ripetitive e le rullatine stanche hanno potuto portare la loro indolenza, la loro strafottenza da parvenu, la loro semplificazione a fette grosse del Brit-Pop, il loro gusto a mio avviso scadente all’attenzione di tutti…un fenomeno che ancora non capisco, anche se, dal poco che so dei loro live, erano bravi a fare le cover dei Beatles: almeno una cosa l’hanno rispettata.

5) Progetti per il futuro?

Suonare. tanto. sempre di più e formare una live band che apprezzi la mia musica, per farla sentire ad un pubblico a cui spero di poter trasmettere qualcosa che gli faccia dire cose tipo “però, questi sono un pò strani, diversi dal solito ma fanno roba interessante, voglio capirli”

Immagine che rappresenta l'autore: Tatiana Granata

Autore:

Tatiana Granata