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THE MURDER CAPITAL – Gigi’s Recovery

THE MURDER CAPITAL – Gigi’s Recovery

Recensione a cura di: Francesca Mastracci

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Una delle definizioni più frequenti che vengono appioppate ai Murder Capital è quella che li vede “fratelli minori dei Fontaines D.C.”.  Posto che a livello anagrafico la sovrapposizione non abbia troppa ragione di sussistere, neppure a livello cronologico c’è poi tutto questo grande stacco temporale negli esordi discografici tra le due band. Il loro primo disco, When I Have Fears, esce infatti nell’agosto 2019, a quattro mesi esatti dall’uscita di Dogrel che, va comunque riconosciuto, ebbe una portata tale da aver eclissato tutte le altre uscite in prima battuta che ci furono quell’anno.

ph: Jennifer McCord
ph: Jennifer McCord

Inevitabile fu, sin dal minuto zero, il confronto con una band di cui condividevano provenienza geografica (entrambe infatti hanno come comune denominatore la città di Dublino) ed appartenenza ad un genere che proprio in quegli anni stava conoscendo l’inizio della sua inarrestabile scalata che di lì a poco si sarebbe dipanata accarezzando quasi i territori del mainstream per come lo conosciamo oggi. Ma il rischio di finire inghiottiti nel mare magnum del revival post-punk esploso a cavallo degli ultimi due decenni era alto.

Che avessero un proprio quid distintivo, però, era chiaro fin da subito anche se, dopo il fortunato esordio del 2019, la band ha ritenuto necessario, complice anche la pandemia, fermarsi proprio per capire quale direzione volesse intraprendere nella costruzione di un’identità ben riconoscibile. Il fatto che i Fontaines in questi tre anni e mezzo abbiano avuto una produzione incessante, qualitativamente molto alta, e conseguentemente una crescita esponenziale del pubblico, ha di certo contribuito a staccare questi ultimi sempre di più dai loro conterranei, rendendoli per l’appunto  loro fratelli maggiori. Ma la band di James McGovern dimostra in maniera lampante con questo disco quanto tale etichetta risulti più che mai fuori luogo, confezionando una tracklist nella quale danno un’interpretazione matura e del tutto personale di un genere che seppur li definisce, certo non li inquadra.

Un post-punk raffinato, il loro, risultato di un ottimo lavoro di sinergia e riflessività nato dall’interscambio con la celebre etichetta britannica che li ha prodotti, Rough Trade (e rieccoli che non ne sbagliano mezza!). Gigi’s Recovery sancisce su più livelli un punto di rinnovamento e, al tempo stesso, una rinascita sofferta benché necessaria dopo il momento di profonda crisi che, da un lato abbiamo vissuto tutti durante la pandemia, ma che nello specifico ha interessato McGovern in prima persona. La title-track si fa epitome massima di questa poetica dell’introspezione, che a livello lirico permea tutto il disco, elaborando un testo nato proprio come una lettera che il cantante indirizzata a se stesso per liberarsi di tutti i suoi demoni interiori (in cui risuonano i versi potentissimi “Now I can see the skyline flying by my window/ I can feel it all flow/ I am not my sorrow”). Ottimo anche il lavoro di trasposizione immaginaria in questo senso nella copertina realizzata da PeterDoyle.

A livello musicale, gli scenari plumbei del primo disco si liquefanno in un’abrasività che risulta più soffusa laddove pur mantenendo le dissonanze, le intarsia con geometrie melodiche dalle trame meno fitte. Il piglio nervoso e tagliente di pezzi come “Don’t Cling to Life”  cede il posto a morbide progressioni ritmiche che a tratti lambiscono atmosfere Radioheadiane (nelle impalcature stranianti di “Crying” o nei fraseggi che si rincorrono implodendo in loro stessi di “A Thousand Lives”) dove l’impeto emozionale trova la propria espressione in una sorta di inquietudine rasserenata da cui emerge potente la voce baritonale di McGovern.

Dodici tracce che si inanellano le une alle dando l’impressione di confluire in un flusso in continua evoluzione retto dal  distico “Existence”/” Exist” che rispettivamente aprono e chiudono un cerchio spostando idealmente, attraverso un’accorta variazione sullo stesso tema, lo sguardo verso prospettive rivolte su spiragli di salvezza (ratificata dalla reprise “existence fading” dell’intro nella  finale “existence changing”).

I resto della scaletta procede mettendo in mostra la già citata attenzione certosina verso arrangiamenti precisi ed equilibri ritmici che modulano luminescenze a punti d’ombra. Troviamo i bagliori di “Only Good Things”, con il suo ritornello accattivante, la robustezza di “Ethel” o “Return My Head” con i mid-tempo solenni, fitti di riverberi, e un piglio squisitamente anthemico. Più nell’ombra, in termini di ambientazione, troviamo invece “Belonging”, una dark ballad con campionamenti elettronici (ripresi anche in “The Stars Will Live Their Stage”), o “The Lie Becomes The Self” con un intermezzo orchestrale verso la fine che tocca corde profondissime mentre James intona versi che risuonano per la loro incredibile forza evocativa (“What is it all about if I can’t hear you laughing?” – eh già).

Infine, un disco che si merita già di entrare a pieno titolo tra la rosa delle migliori uscite di quest’anno. Ottimo lavoro Gigi and co, fratelli di chi?

TRACKLIST:

  1. Existence
  2. Crying
  3. Return My Head
  4. Ethel
  5. The stars will leave their stage
  6. Belonging
  7. The lie becomes the self
  8. A thousand lives
  9. We had to disappear
  10. Only good things
  11. Gigi’s Recovery
  12. Exist

VOTO: 9

Autore:

Francesca Mastracci