La rock band psichedelica Giöbia ha da poco pubblicato un nuovo album, "Introducing yourself". Con il loro sound originale hanno attirato l’attenzione a livello internazionale e lo staff di Ondalternativa ha intervistato la band per conoscerla meglio e parlare un po’ del nuovo lavoro.
Domanda secca: “Introducing yourself”, come vi sentite?
Siamo contenti per come stanno andando le cose. il disco vende bene,la prima stampa è andata
esaurita in tre mesi, le recensioni sono buone e abbiamo ricevuto feedback positivo dall’estero.
Presto ci sarà una novità importante dal Regno Unito che speriamo ci permetta di divulgare ancora di
più la nostra musica.
Continuano a confezionarvi addosso degli stili, “british” “american”, non credete che si tenda troppo
a settorializzare in questo ambiente? Voglio dire, deve essere per forza indispensabile avere una
appartenenza?
Penso sia difficile trovare degli aggettivi per definire la musica di una band, quindi è naturale
settorializzare per dare un’ idea di massima. Non è indispensabile avere una appartenenza, ma va
ammesso che tutti i musicisti traggono ispirazione dalla musica che ascoltano o con la quale sono
cresciuti e siamo in fondo tutti un po’ derivativi.
Noi non vogliamo essere nè British, nè kraut e nemmeno American. Siamo Italiani, abbiamo il
nostro stile e il nostro approccio musicale ormai riconoscibile. Le nostre melodie, le ritmiche, le
soluzioni sono diverse rispetto a quelle di altre band di rock psichedelico. Suscitiamo curiosità
all’estero perchè ci trovano esotici e capiscono questa diversità.
La parola sperimentazione apre numerosi scenari, esattamente per voi cosa significa?
Per noi sperimentare e scrivere canzoni sono la stessa cosa. Tutti i musicisti sperimentano strumenti o
suoni nuovi al fine di creare un brano. C’è chi sperimenta di più e chi di meno. Ma ogni musicista che
si rispetti cerca di variare introducendo qualcosa di non provato prima. E anche noi ci proviamo a modo
nostro. Allo stesso tempo, siamo una band che ama curare i dettagli, soprattutto nei suoni e in questo ci
rifacciamo soprattutto al suono e allo stile degli anni ‘60. Sperimentare per noi significa inoltre costruire
e decostruire le canzoni continuamente finchè non prendono vita propria. Mai accontentarsi del primo
take.
Il vostro percorso artistico è stato in qualche modo influenzato e se si da chi o cosa?
È stato influenzato da moltissime cose: dagli ascolti, dalle droghe, dai viaggi, dalle esperienze belle e brutte
che ci sono capitate in questi anni. Ognuno porta con sè delle proprie influenze che si riversano sul gruppo.
Quello che ci accomuna è il sentire l’esigenza di fare musica per esprimerci. Esprimerci per trovare una
forma di serenità interiore, a tratti una evasione, una cura, una soddisfazione del sè.
Alcuni vostri brani mi hanno fatto venire alla mente i fumosi locali e pieni di misticismo della vecchia
New Orleans, al di là dell’ambientazione o delle emozioni che sono sempre molto soggettive, come nasce
una canzone?
Ci fa piacere che la nostra musica ti evochi questa immagine. E’ importante che ognuno abbia la sua
percezione. Nella scrittura dei brani non abbiamo una regola fissa: può capitare che uno di noi componga una
canzone dall’inizio alla fine proponendola al gruppo; altre volte, invece, registriamo delle improvvisazioni
e poi cerchiamo di costruirci il pezzo tutti insieme. Di solito tutto parte da un giro di basso e una ritmica. I
testi vengono fatti soltanto alla fine, adattandoli alla linea melodica della voce precedentemente scelta, come
fosse uno strumento al pari degli altri. Per la scelta delle parole ci ispiriamo alle sensazioni e alle emozioni
che la musica composta ci dà e che vorremmo suggerire a chi ascolta.
06. Chi ha avuto l’idea di utilizzare strumenti come il sitar o il bouzouki?
Il sitar e il bouzouki li suona Bazu. Ci piace collezionare strumenti vintage ed etinici e infilarli nelle nostre
canzoni.
Ci sono molte parti strumentali, una sorta di equilibrismo fra suono e parole, nell’era del “mordi e fuggi”
non credete che possa risultare un po’ troppo pesante, parlo in generale non per i fan più agguerriti?
In realtà a noi sembra che questo disco risulti anche fin troppo facile all’ascolto. Le produzioni della
Sulatron Records e di altre etichette di qualità nel panorama mondiale hanno band con suoni anche molto
più estremi. Quelli che fanno parte dell’era “mordi e fuggi”, i fashion victim musicali e le major non
contano niente perchè non comprano e non vendono i dischi. La vera novità musicale di questi anni si trova
nell’underground e questo verrà capito tra qualche anno. Sono le band poco conosciute come la nostra che
in questo momento stanno facendo la storia del rock e creeranno anelli di congiunzione con quello che sarà il
rock del futuro.
Credete che in Italia ci sia ancora (se mai c’è stato) uno spazio per evolvere la musica e farla apprezzare
a 360° senza dover ricorrere sempre allo stereotipo dell’italiano medio di fine anni 60?
Noi esistiamo e siamo in Italia, la gente partecipa ai nostri live, abbiamo un pubblico trasversale che prende
più generazioni . Le recensioni Italiane di Introducing Night Sound sono buone. In questo momento penso
che molti si stiano avvicinando a band space-psych-fuzz-garage-popsike… questo fa ben sperare!
La cosa che più rappresenta ciascuno di voi in questo album?
Questo album ci rappresenta appieno, in tutte le sue parti, nelle canzoni nostre, nelle cover, nel contrasto fra i
colori dell’artwork e il suono cupo della notte.
E adesso?
Ci prepariamo per l’imminente tour europeo, poi ci chiuderemo in studio, abbiamo intenzione di uscire con
qualcosa di nuovo nella primavera del 2014.
Inoltre, il 23 di novembre il nostro brano "Orange Camel" uscirà nel secondo volume di "Reverb
Conspiracy", la compilation prodotta dagli organizzatori dell’Austin Psych Fest e dalla Fuzz Club
Records