Intervista ad Andrea Casale, cantautore italiano che guarda all’estero Nasci prima come pianista o come cantautore? perchè ho sempre voluto scrivere musica. In casa mia da prima della mia nascita c’è un pianoforte a mezza coda che appartiene a mio padre e ho iniziato così ma non ho mai studiato con un maestro di musica. Intorno ai 14 anni, abbagliato dalle nuove uscite discografiche di quel periodo (“Up” di Peter Gabriel e “Des Visages, des figures” dei Noir Desir su tutte) decisi che avrei imparato a suonare più seriamente al fine di scrivere musica. E con la mia vecchia band, Airglow, è successo qualcosa di simile: di solito s’inizia a suonare insieme cover per poi iniziare a fare musica propria, Il tuo disco d’esordio “Tourist in my Hometown”, uscito sul finire del 2014, è scritto interamente in inglese. Hai mai pensato di scrivere i testi delle tue canzoni in italiano?
lavoravamo ad una traccia, Claudio Ciaccioli (insieme a membro fondatore degli Airglow ed eccellente polistrumentista che ha suonato nel mio disco) mi disse “proviamo a scrivere il testo in inglese”. E incominciammo così. Le ragioni per cui scrivo in inglese sono diverse: la prima è che, nonostante l’italiano sia una lingua sicuramente più ricca, l’inglese è decisamente congeniale al mio modo di esprimersi, grammatica più semplice, suoni più ‘diretti’ e tante frasi idiomatiche e figure retoriche che in italiano non esistono. L’inglese mi permette inoltre di arrivare ed essere compreso da un pubblico più vasto che comprende quello anglofono ma anche tutto quella fetta di pubblico non anglofona ma che sicuramente padroneggia la conoscenza della lingua (penso ai Paesi di Centro e Nord Europa). Infine, scrivere in italiano mi fa sentire più “nudo” invece l’inglese mi da quel Ma in realtà sono un appassionato della conoscenza delle lingue straniere: parlo fluentemente inglese, francese e ho una conoscenza scolastica del turco. In futuro mi piacerebbe provare a sperimentare sperimentare il cantato in altre lingue come il turco, alcune lingue africane come il kirundi, swahili, lingala, cosa che mi è capitato di fare dal vivo suonando in alcuni festival noi, a 16 anni, iniziammo subito con musica inedita. senso di “protezione”grazie al quale riesco ad essere sicuramente più sincero. interculturali sul territorio di Parma. Com’è stata l’esperienza dell’autoproduzione?
avuto vincoli artistici di alcun tipo. Il fatto è che in fase promozionale però sei solo con te stesso e a volte non è sufficiente, è innegabile che con una casa discografica dietro sarebbe tutto più facile. Tu sei molto giovane (Taranto classe 1988), speri di fare il musicista “da grande”?
quest’anno e di qui la mia futura occupazione. Purtroppo la musica è un terno al lotto e pur sapendo che non smetterò mai di suonare e fare altri dischi non me la sono mai sentita di rischiare tutto puntando solo sulle mie canzoni. Non perchè non ci creda, è nel mondo della musica che non credo. Per cui, per ora va bene così, se poi il mio successo dovesse portarmi altrove, tanto meglio. Vedremo… Come mai hai sentito la necessità di fare un disco? mia vecchia band di cui vi dicevo, gli Airglow. Brani tutti scritti da me e Claudio Ciaccioli. Nel 2012 insieme a Claudio e a Riccardo Rinaldi (anche lui degli Airglow) abbiamo scritto la colonna sonora di “Ciò che Resta”, progetto letterario multimediale di Aldo Calò Gabrieli. Ma fare un disco “solista” per me era più che necessario. Innanzitutto perchè, dopo aver fatto l’esperienza in una band, mi sono reso conto di quanto le ‘dinamiche democratiche’ di un gruppo spesso possono essere limitanti. E poi dopo lo scioglimento del gruppo avevo bisogno di un progetto tutto mio che avrei potuto gestire come meglio credevo e sui cui avere il 100% delle decisioni. Però ci suonano comunque i miei vecchi amici Claudio Ciaccioli e Livio Bartolo ed è stato missato da Francesco La Sorsa, amico d’infanzia, per cui è come se ci fosse comunque una sorta di continuità tra passato e futuro. Ma soprattutto c’è la voglia di mandare un messaggio attraverso la mia musica che non è un insegnamento o un messaggio politico e sociale, ma è più un condividere delle idee e delle ispirazioni con chi ascolta il disco che possono indurlo a fare le mie stesse riflessioni. La mia musica e i miei intenti sono davvero senza frontiere. Credo che la mia musica sia accessibile A chi pensi possa interessare la tua musica? E tu invece che musica ascolti? Il mio eroe da quando sono piccoli è Peter Gabriel, musicalmente parlando è come un padre per me sia con i Genesis ma soprattutto come artista solista. Mi piacciono molto Esperanza Spalding, Bon Iver, Franco Battiato e i Kings of Convenience. Spazio molto, mi piace tutto ciò che abbia un’anima e una testa. Ho citato giusto i miei preferiti, poi, com’è giusto che sia, vado molto a periodi. In questi giorni sto sentendo i Foster the People, Sinead O’Connor e i Band of Horses. Nella scena italiana mi piacciono molto i Suntiago e Le Luci della Centrale Elettrica. A chi ti sei ispirato per la realizzazione del disco? Intendi artisticamente? le influenze sono inevitabili. Ma cerco sempre di prendere il meglio di questa “eredità”e sviluppare idee nuove, non mi piace imitare e basta, sarebbe fine a sè stesso. Quello che m’interessa invece è andare sempre “oltre” quello che esiste già. Magari non sempre ci si riesce, ma bisogna provare.
cui la mia laurea e portare avanti le attività della mia associazione “paolozayd”, che promuove il dialogo inter-religioso. Ma comunque ci sono già delle nuove canzoni… io scrivo sempre, per cui tengo sempre da parte le mie nuove bozze. |
Intervista Andrea Casale
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