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Ondalternativa

Manchester Orchestra – The million masks of God

Si sa, quando una band sforna il disco più bello della sua carriera e ne è consapevole, lo strascico di gratificazione che ne segue è destinato ben presto a tramutarsi in ansia riguardo le sorti discografiche della produzione che seguirà. L’asticella si è alzata, il pubblico è cresciuto e tutta una serie di pressioni dall’esterno minano in qualche modo la stabilità identitaria della band in questione la quale, posta di fronte al binario delle scelte, dovrà capire quali sono i compromessi da accettare.

E non è un caso, allora, se i Manchester Orchestra abbiano dato solo qualche mese fa un successore all’album A Black Mile To The Surface (del 2017) che li aveva ufficialmente incoronati nell’olimpo dell’ alt-pop-folk americano, dove campeggiano indiscusse band come Fleet Foxes e Grizzly Bear.

Uscito lo scorso aprile via Loma Vista Recordings, il sesto disco della band di Atalanta è, dunque, il risultato di un lavoro ponderato che si prefiggeva il compito programmatico di essere un’estensione del precedente, sia a livello concettuale che musicale.

Se infatti A Black Mile era stato, nelle parole del cantante Andy Hull, una lunga riflessione incentrata sul ciclo della vita dalla nascita alla morte, ora l’attenzione si sposta verso la dimensione ultraterrena. Le undici tracce che compongono la tracklist esplorano il dialogo di un uomo con l’angelo della morte, mentre vede scorrersi davanti agli occhi i momenti più importanti della sua vita come fossero istantanee. La scrittura del disco si è intrecciata inscindibilmente con un evento molto doloroso accaduto alla band da vicino: la lunga battaglia contro il cancro del padre di Robert McDowel (chitarrista e cofondatore della band) e successivamente la sua scomparsa nel 2019. Parafrasando le parole di Hull nel comunicato stampa che ha preceduto l’uscita del disco, la perdita di una persona importante nelle nostre vite ci fa sempre confrontare con il rapporto che abbiamo con la morte, facendoci mettere in discussione tutto ciò in cui crediamo.

Musicalmente, tutto ciò si traduce attraverso una narrazione sonora costruita su sinuose trame strumentali e in cui è particolarmente riconoscibile la matrice folk (“Telepath” “Let It Storm”), spesso posta di fianco ad intersezioni elettro-sintetiche (l’iniziale “Inaudible” e “Obstacle”) o a tessiture policrome dal sapore alt-rock (come per i due singoli estratti “Keel Timing” e “Bed Head”). Splendido il finale con il pezzo “The Internet”, che chiude in maniera impeccabile il disco facendo ricorso al tono di epicità che caratterizza tutte le tracce, facendosi ora nostalgico-malinconiconico, ora pastorale-inneggiante in pieno stile Americana.

Gran parte della riconoscibilità della band, però, è inutile negarlo, pone l’accento sull’elemento vocale: quel tono agrodolce ed inconfondibile di Hull che ti accarezza facendoti bruciare gli occhi e che si accompagna con la stessa destrezza, da vero e proprio strumento perfermativo, alle tastiere avvolgenti come anche ritmiche ficcanti adagiate su tappeti di synth.

Infine, un disco molto ben fatto e di rifiniture qualitative notevoli.

 

Tracklist:

  1. Inaudible
  2. Angel of Death
  3. Keel Timing
  4. Bed Head
  5. Annie
  6. Telepath
  7. Let It Storm
  8. Dinosaur
  9. Obstacle
  10. Way Back
  11. The Internet

 

A cura di: Francesca Mastracci

Immagine che rappresenta l'autore: Tatiana Granata

Autore:

Tatiana Granata