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LiveR Gods Of Metal Day 1

GODS OF METAL 2012 – GIOVEDì 21 GIUGNO:

Line Up
Manowar
Children of Bodom
Amon Amarth
Adrenaline Mob 
Unisonic
Cannibal Corpse
Holyhell
Arthemis
Clairvoyants

Il 7 giugno del 1997 a Milano, nel parcheggio del Forum di Assago, nasceva il Gods Of Metal, festival dedicato all’hard & heavy, destinato a diventare, nel corso degli anni, un appuntamento fisso nel calendario degli headbanger italiani. A distanza di sedici anni e attraverso continui cambi di location, sono ben sette i luoghi che lo hanno ospitato, la manifestazione ritorna per la seconda volta nell’ Arena Fiera di Rho. Il sedicesiomo compleanno sarà festeggiato degnamente in quattro giorni, con trentacinque band ed headliner di tutto rispetto: Manowar, che dopo dieci anni di assenza tornano nel Bel Paese, Guns’n’Roses, Motley Cure e Ozzy & Friends. E così, tra polemiche, tante, e lodi, poche, parte in una caldissima mattina di giugno il festival più amato ed odiato dell’Italia del metal. Ecco il live report, buona lettura!

Sono i Clairvoyants, guidatida Gabriele Bernasconi, ad assurmersi l’arduo compito di dare il via a questa edizione. Caldo e ora infelicemente mattiniera, non rappresentano un ostacolo per la band, che sprona i presenti a raggiungere la transenna. No Need To Surrender, I Don’t Belive Their Lie, The Shape of Things To Come ed Endure And Survive, sono tutti brani dell’ultima fatica The Shape Of Things To Came, alla quale è dedicata l’intera esibizione. Urla e corna si levano da sotto il palco come riconoscimento e lode per un’adrenalinica performance che la band regala nel poco tempo a sua disposizione. Grintosi e graffianti concedono un ultimo saluto con To Heaven and Back brano che, secondo Gabriele, spiega perfettamente lo stato d’animo in cui rock e metal catapultano i loro adepti e a chiudendo con Journey Through The Star, unico brano del primo World To The Wise. Dieci e lode per i Clairvoyants, in soli trenta minuti hanno saputo creare la giusta atmosfera per godersi il festival.

Dopo un rapido cambio palco, l’arena della fiera di Rho risuona con queste parole:
"Me lo fai un cazzo di urlo, Milano?!?"
E’ la voce di Fabio Dessi, leader degli Arthemis, che richiama l’attenzione di un pubblico che pian piano si sta infoltendo. E’ ancora l’orgoglio italiano a calcare il palco del Gods, con una band collaudata con alle spalle sette album e prossima all’uscita di We Fight, ottava ed ultima fatica. Il tempo a disposizione non è molto neanche per loro, ma gli Arthemis conoscono la formula giusta per infiammare gli animi: una prestazione ammiccante ed energica nella quale svettano i tempi martellanti di brani come Empire, Still Aweke e We Fight presentati in anteprima e ben accolti da chi con urla e pogo ricambia la cortesia. La chiusura è affidata ad un classico, 7 Days, dedicato a chi ha condiviso e reso speciale questa importante tappa della loro carriera.

Cala il sipario sul made in Italy e si riparte con il primo ospite internazionale.
E’ il turno degli americani Holyhell, figliocci di Joey DeMaio, che nel 2005 li ha reclutati per la sua Magic Circle Music e che da quel momento li vuole sempre e dovunque ci siano i Manowar. Con un album alle spalle ed uno prossimo all’uscita, la band arriva sul palco decisa ad accaparrarsi l’affetto del pubblico italiano. La scatenata frontwoman Maria Breon non perde occasione per incitare i fan, regalando posizioni plastiche ed interpretazioni grintose che però non nascondono qualche sbavatura tecnica. Accanto a lei l’incontenibile tastierista Francisco Palomo si dimostra essere uno showman nato, tanto da "rivaleggiare" a volte con la stessa singer, che però sta al gioco e concede preziosi centimetri nei momenti in cui il tappeto di tastiere domina la melodia. Il resto della band svolge il suo lavoro. L’esibizione si chiude con la covere di Holy Diver in omaggio al compianto R.J.Dio, lasciando però qualche perplessità: il problema degli Holyhell, dal vivo sicuramente carismatici, rimane piuttosto legato alla sensazione dell’aver già sentito e, a volte meglio, un genere musicale che non sono ancora riusciti a rendere proprio.
La colonnina del termometro sale sempre di più, ma la canicola non ferma il popolo del metal più estremo, che all’una si raduna sotto al palco per i Cannibal Corpse.

Assente da soli due anni dal palco del Gods of Metal, il quintetto americano è accolto con grande affetto da un pubblico che li chiama a gran voce, quasi li aspettasse da un secolo. George "Corpsegrinder" Fisher e compagni non si fanno certo attentedere, alle 13:10 eccoli comparire maestosi sul palco. A nulla servono striscioni ed urla, i cinque rimangono distaccati e, fermi nelle loro postazioni, attaccano con roteate di collo da capogiro. Intanto l’atmosfera si scalda sempre di più con brani come Hammer Smashed Face e Priests Of Sodom che arrivano dritti come un pugno nello stomaco. Se al di là della transenna che separa dal pit si scatena un incontenibile pogo che cattura l’attenzione del cattivissimo singer, sotto al palco si riamne più tranquilli, alzando le corna in segno di gradimento. Non si può certo negare che i Cannibal Corpse sappiano fare il loro lavoro: musicisti competenti e precisi, capaci di conquistarsi stima e rispetto, sono ormai uno dei più significativi portabandiera del brutal death metal. Non si smentiscono neppure in quest’occasione. L’unica pecca è che la perfomence, vuoi per il caldo, vuoi per il poco tempo a disposizione, passa senza lasciare un qualcosa che valga la pena raccontare. Quello che è certo è che se l’esibizione si aggira attorno alla sufficienza, la partecipazione e l’energia del pubblico hanno reso lo show un vero e proprio muro granitico.

L’atmosfera cambia radicalmente quando arrivano gli Unisonic, nuova band dei due carismatici ex helloween Kai Hansen e Michael Kiske, osservati speciali della giornata.

Senza perdere troppo tempo in chiacchiere, basti sapere che la voce più amata ed odiata del power metal è tornata… ed è in gran forma! L’apertura dello show è affidata all’omonimo singolo che impatta come una fresca esplosione di energia sui presenti che a gran voce acclamano lo storico singer. Sul palco la band è a proprio agio, Kai e Michael scerzano, dando vita a simpatici siparietti, mentre cantano King Of Time e Never To Late. Le due vecchie "Zucche d’Amburgo" conquistano definitivamente l’affetto del pubblico quando Kiske anuncia March of Time ed I Want Out, ricordando i tempi in cui "Avevo vent’anni in meno, ero più magro e portavo lunghi capelli biondi!". Gli anni sono passati, ma la sua voce rimane sempre quello splendido gioiello che era allora. Il felling tra i due leader è tangibile e tutto il resto della band li segue compatta e ben affiatata. L’esecuzione è impeccabile anche su Never To Late e My Sanctuary, mentre non resta che sciogliersi con la ballad Over The Rainbow. We Rise chiude i cinquanta minuti a disposizione degli Unisonic che, se da un lato si dimostrano figliocci della scuola power tedesca (e come non potrebbero, due capostipiti sono in line up), dall’altro palesano che ancora qualcosa di nuovo c’è da dire… certo, bastano solo i nomi Hansen e Kiske insieme a creare novità.

Il tempo di stupirsi e rimanere a bocca aperta non è ancora finito.

Arrivano infatti gli Adrenaline Mob a completare l’opera iniziata dagli Unisonic.
L’unione tra Mike Portnoy, storico drummer dei Dream Theatre e Russell Allen, carismatico singer dei Symphony X , ha dato alla luce lo scorso marzo Omertà, album che ha suscitato parecchie riserve nella critica di settore. Riserve che in sede live non hanno senso di esistere: Adrenaline Mob di nome e di fatto! Quella di questa band è probabilmente l’esibizione più completa fino a questo momento: carisma, precisione, tecnica sopraffina ed un grandissimo groove sono quello che i quattro americani riversano sul pubblico del Gods Of Metal. Padrone del palco, Allen incita la folla mentre da dietro la sua batteria Portnoy fa il suo degno lavoro seguito in ogni istante dal basso di Moyer. Anche il chitarrista Mike Orlando si prende la sua giusta dose di applausi regalando riff poderosi che fanno scuotere la testa. Maestri ed alunni del prog americano lasciano intravedere attraverso brani quali Undaunted, Psychosane ed Indifferent come per loro sia semplice calpestare anche terreni meno affini al genere, ottenendo comunque buoni risultati. Un’esibizione che non lascia indifferenti e che certo stuzzica l’interesse a rivederli con la giusta atmosfera e con più tempo a disposizione.

Il pomeriggio avanza tra musica e caldo ed ancora una volta ci si spinge nei terreni più duri ed oscuri del death metal. Salgono infatti sul palco i cinque viking metallers, gli attesi Amon Amarth, mentre ormai il pubblico inizia ad accalcarsi sempre più numeroso sotto al palco. Johan Hegg e compagni palesano fin dai primi brani le loro intenzioni non del tutto tranquille, regalando un’interpretazione epica e poderosa che non lascia spazio a cali di tensione. La storia della band si racconta attraverso nove lavori in studio, ma per questa esibizione la set list verte prevalentemente su brani delle ultime fatiche, in particlare l’ultimo Surtur Rising , la cui effige del gigante di fuoco svetta fiera nella scenografia. War Of the Gods, Destroyer Of the Universe e For Victory Or Death ricevono pieno consenso dal pubblico, che però apprezza anche il salto nel passato che viene concesso con Victorius March dal primo Once Sent From The Golden Hall. Tra headbanging poderosi, pogo e corna anche lo show dei biondi vichingi volge verso la fine, affidata a Guardians Of Asgard, chiamata a gran voce dai fan ed eseguita con particolare grinta dai cinque che dopo settanta minuti salutano il Gods of Metal tra urla che confermano ancora una volta di più quanto questa band sappia toccare i giusti tasti per catturare l’attenzione del suo pibblico.

Il sole sta ormai calando e in lontananza si fanno avanti minacciosi nuovoloni neri che creano, senza volerlo, la perfetta atmosfera per accogliere i Children Of Bodom, penultima band nella bill di questa prima giornata.

Dopo i vichinghi svedesi è il momento di un po’ di melodic death metal di stampo norvegese che catalizza l’attenzione della maggior parte dei metallari. Lo show che Alexi e compagni allestiscono è qualcosa di grandioso: poderose melodie si intrecciano ad headbanging sfrenati già dalla prima Warheart. Alexi e compagni hanno deciso di pigiare sull’acceleratore e ottengono l’effetto deisderato con il classico Silent Night, Bodom Night. Urla, pinte e corna si levano dalla folla che sotto al palco si scatena ad ogni cenno dei cinque. Anche il meteo pare seguire questo climax di pathos ed esplodere con goccioloni che sembrano preannunciare un temporale, che però si dilegua concedendo giusto un pizzico di freso dopo tanto caldo.
Sul palco intanto si continua a tenere alto il ritmo con Deadnight Warrior, Blooddrunk e Are You Dead Yet? che incendiano i cuori dei fan che non lesinano applausi urla ed anzi continuano a dare vita a un frenetico pogo a dimostrazione di apprezzare quanto i Children Of Bodom stanno regalando.

Tutto sembra essere perfetto: musicisti in gran forma, show intenso e partecipato, pubblico scatenato. Peccato che la performance ad un certo punto subisca un inspiegabile ed inaspettato taglio della scaletta, forzando la band a chiudere prima del previsto. Tra gli applausi, i cinque lacsiano a malincuore il palco visibilmente seccati, anche se consci di aver fatto brecca nel cuore dei fan con uno spettacolo che, come sempre, ha messo in mostra le grandi doti tecniche ed il valore dei cinque.

Non mancano che loro, gli headliner della serata, gli attesissimi Manowar che, sanno fare benissimo il loro mestiere ed ancora di più sanno come creare la giusta suspance prima di entrare in scena: un’ora di cambio palco dalla performance ingiustamente mozzata dei Children Of Bodom, crea tuttavia qualche fastidio.

Fastidio che prontamente viene cancellato non appena l’arena di Rho risuona con:

"Ladies and gentlemen, from United States of America… Manowar".

Erano dieci anni che Eric Adams e soci mancavano dall’Italia e finalmente eccoli di nuovo sul palco del Gods. L’inizio dello spettacolo è un tripudio di epicità: Manowar, Gates Of Vahlalla, Kill With Power e Sing Of The Hammer arrivano a piena potenza accolte da cori ed ovazioni che fanno sentire i paladini dell’epic a casa. Basterebbe solo questo inizio per dire che la band è tornata e lo ha fatto in grande stile, ma i Manowar sanno sempre come stupire: suonano ininterrottamente per quarantacinque minuti e solo dopo Call To Arms, davanti ad un pubblico in completo visibilio salutano Milano e l’Italia intera.
E’ vero, gli anni sono passati ed i signori del metal ormai si aggirano intorno alla sessantina, ma il carisma è una dote e loro la sfoggiano ancora meravigliosamente.

Mentre la set list procede tra grandi classici e brani più recenti ci si accorge con grande piacere che questa volta lo spettacolo porta in sè meno chiacchiere più musica: i Manowar hanno voglia di suonare ed hanno voglia di scatenare i propri fan. Sons Of Odin, Hand Of Doom, King of Kings arrivano a volumi esagerati, giusto per far tornare alla mente i tempi in cui i Manowar vinsero il guinness dei primati come band più rumorosa al mondo. Non mancano poi alcuni punti fermi dello show, come l’invito di Joey Demaio ad un fan a salire sul palco per insegnare come "bere una birra all’italiana" e poi farlo suonare con la chitarra The Gods of heavy Metal e il suo immancabile assolo sul celebre tema Sting Of The Bumblebee. Da questo momento in poi è tutto un susseguirsi di pogo, urla e cori che accompagnano al momento più bello dello show: Eric Adams intona il Nessun Dorma. Interpretata egregiamente anche questa volta, la celebre romanza Pucciniana avvisa che lo show sta volgendo alla conclusione, affidata a Black Wind, Fire And Steel cantata a due voci insieme a tutti i fan.

Cala il sipario su questa prima giornata del Gods Of Metal che, sebbene non abbia registrato una partecipazione eccessivamente elevata di pubblico, ha però avuto il pregio di portare sul palco nove band che hanno ampiamente ripagato le aspettative dei presenti, regalando momenti di grande epicità, puro divertimento e fottutissimo metal.

Live Report a cura di Elisa Penati

 

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