A PERFECT CIRCLE + CHELSEA WOLFE
PALALOTTOMATICA (ROMA), 19/12/2018
Spesso, nell’era dei social network 2.0, capita di imbattersi in discorsi anche abbastanza complessi riguardo l’importanza che viene attribuita alla condivisione di momenti importanti e talvolta anche intimi sulle piattaforme virtuali. In un mondo in cui viene pubblicato anche il numero delle volte in cui, no non scenderò nella banalità dicendo si va al bagno, ma magari delle volte in cui si va a portare il cane a spasso, di quelle in cui si va dal commercialista, o di quelle in cui si fa il bagno al criceto e surrogati. O, forse, delle volte in cui ci si impegna a documentare minuziosamente eventi a cui si prende parte, per pubblicarli come ufficio stampa di se stessi nelle proprie storie online e vantarsi anche, perché no, quel poco che basta con i followers. È l’ossessione al silicone, “the silicon obsession” come cantano gli A Perfect Circle nel brano “Disillusioned”, contenuto nel loro ultimo lavoro, Eat the Elephant.
Ed è strano pensare che quando non li condividi sui social, i ricordi è come se non esistessero né per gli altri e né, ancor peggio, per se stessi. Ma appunto, come se. L’esperienza continua ad esistere dento di noi, nonostante la foto, nonostante l’importanza che si vuole attribuite alla propria costruzione identitaria su una vetrinetta virtuale.
Questa riflessione diventa ancora più sentita all’indomani di un concerto in cui sono gli artisti stessi a fare esplicita richiesta di non registrare il live. Un’istanza che diventa quasi un esperimento sociale quella che parte dagli A Perfect Circle, e in primis da quel geniaccio dal talento incommensurabile del loro cantante, che non necessita troppe presentazioni, the one and only Mr Maynard Keenan.
Per la seconda tappa italiana del tour europeo di Eat the Elephant, la band americana ha toccato la capitale in un prefestivo giovedì sera molto freddo. Con loro, ad accompagnarli per tutto il tour in Europa, la sacerdotessa del rock nero più nero, Chelsea Wolfe. Sale sul palco alle 19,45 spaccate senza un minuto in più e senza preamboli alcuni, oscura in tutta la sua essenza gloom, gotica fino al midollo, la regina indiscussa del doom metal e del drone folk rock, ha stregato tutti nei 45 minuti che ha avuto a disposizione. Immersa in un’atmosfera mistica tra fumi che la velavano e luci abbaglianti sparate dietro le sue spalle rivelandone la sagoma, ma mai illuminandola frontalmente, la cantante di Sacramento ha teso gli astanti lungo la corda di alcuni dei suoi pezzi più conosciuti facendo particolare riferimento a quelli presenti nel suo ultimo lavoro Hiss Spun del 2017 (come “Spun”, “16 Psyche”, “Vex”, “Scrape”). Corda annodata e sciolta in un finale catartico con le derive indemoniate in stile sludge di “Scrape” tra riff allucinati e una batteria infervorata in crescendo continuo.
Questo il clima perfetto per preparare al completo delirio metafisico del live degli A Perfect Circle. Mezz’ora di cambio palco, mille ulteriori raccomandazioni dagli altoparlanti per impedire di tenere gli schermi dei telefoni puntati sul palco (anche se qualcuno più sgamato è riuscito a fare qualche ripresa rubata qua e là) ed ecco che parte un viaggio di un’ora e mezza senza sosta e senza un benché minimo cenno ad allentare la presa. Incipit con l’intro dal sapore jazzistico del pezzo che dà il titolo all’album e al tour. Il resto della scaletta è stato dedicato principalmente proprio a questo lavoro (oltre “Eat the Elephant”, anche “Disillusioned”, “So Long, and Thanks for All the Fish”, “The Contrarian”, “TalkTalk”, “The Doomed”, “Hourglass”, “Delicious”). Ma non si sono certo risparmiati un excursus lungo alcune delle tappe più salienti della loro carriera con pezzi storici come “Judith” “Rose”, “The Hollow” “3 Libras” (in una versione riarrangiata che quasi la rende irriconoscibile) da Mer de Noms; “The Package”, “Weak and Powerless”,“Blue”, “Vanishing” da Thirteenth Step; “Counting Bodies Like Sheep to the Rhythm of the War Drums”, la cover depechemodiana “People are People” da eMOTIVe.
Durante tutto il live, Maynard, neanche quasi a doverlo specificare, è stato per lo più avvolto dall’ombra senza mai uscire dalla sua “comfort zone” posizionata leggermente più indietro rispetto al restante assetto della band. Questo non voler far convergere l’attenzione sulla sua persona agisce sostanzialmente in due direzioni: da un lato, ovviamente, spinge la platea a “vederlo” come sola voce, meravigliosamente intensa e immateriale, e dall’altro fa ascoltare in modo più attento il suono. La cura del suono risulta infatti maniacale: compatto, sostanzioso, evocativo, ma denso e tagliente negli snodi focali. Scenografie meravigliose, con il loro logo pressoché onnipresente ed accostamenti di luci e colori in grado di far godere la vista laddove il supporto visivo della voce è appunto venuto a mancare. Tutto studiato in maniera impeccabile da quel burattinaio che nascosto muove i fili e veicola il tutto. Gli ultimi tre minuti di live vengono “concessi” alle riprese, ma lui, ovviamente si dilegua dopo un nano-secondo da quando, ringraziando, ha dato la sua benedizione.
E forse non ci sono molte storie su Instagram a raccontare quanto bello sia stato il concerto degli A Perfect Circle, ma sicuramente un live del genere non si dimentica facilmente a prescindere dai like di cui avrebbe potuto godere.
A cura di: Francesca Mastracci