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Ondalternativa

Intervista V-Device

V-DEVICE

I V-Device arrivano da Napoli e sono la classica band che non si accontenta mai,

nonostante un disco che rasenta la perfezione quale “Vidana”. Un gruppo dal piglio

internazionale che abbiamo avuto il piacere di incontrare in questa intervista.

La vita da rocker in un Paese come il nostro non è semplice: volenti o nolenti ci si imbatte

sempre nel nazional popolare, Vasco Rossi, Ligabue e simili. Cosa vi ha spinto a prendere

una strada così ardua arrivando a un disco stupendo come “Vidana”?
Innanzitutto grazie per definirlo tale. I V-Device hanno un percorso che non ha nulla a che vedere

con il mainstream italiano: abbiamo preso consapevolmente un’altra strada.


Siete a mio avviso una delle realtà più interessanti sul fronte alternative rock tricolore, ci

volete raccontare quali sono stati gli step importanti nella vita dei V-Device?

Il primo step in assoluto è stata la prima nostra formazione, i Primaluce: questo nostro progetto

rappresenta una fucina, un vero e proprio laboratorio in cui abbiamo sperimentato tutte le soluzioni

che avrebbero dato vita ai V-Device. L’altro step importante è stato la pubblicazione del nostro

primo album “Calling Europe”: da quel momento abbiamo capito che il nostro progetto aveva

realmente un eco internazionale.

Sinceramente guardandomi attorno non noto molte band in Italia con il vostro tipo di

approccio. Quale scuola rock ritenete sia la più vicina a voi? Quella statunitense, britannica

o nordica?

All’interno della nostra band ci sono diverse influenze principali. Il cantante Davide Verde è un

grunger vero, molto influenzato dal rock americano e, in particolare, da tutte le band di Seattle

degli anni ’90. Poi c’è il bassista Guy Costanzo con chiare influenze beatlesiane. Il tastierista/synth

Fabius Shiva molto influenzato dalla musica orientale e New Age e infine il batterista Luca

Bravaccino anche egli più legato al rock americano di matrice 90’s.

“Vidana” sorprende soprattutto per dirompenza e impatto, evidenziando un lavoro di team

decisamente superbo. Come sono avvenute le lavorazioni dei nuovi brani e quanto tempo è

servito a rendere questo disco una realtà?

Se dovessimo contare i giorni di effettivo lavoro ti diremmo che l’album è stato registrato in 3 mesi

al massimo. Ma, come ogni cosa che cresce in natura, “Vidana” è stato un seme che è cresciuto

lentamente con revisioni, nuove idee, nuove esperienze di vita e per renderlo pubblico abbiamo

aspettato 3 anni dall’uscita di “Calling Europe”. Tieni presente che alcuni brani, anche molto

interessanti, li abbiamo tolti per assemblare una tracklist ad effetto.

Il maggior problema in ambito musicale è che oggi la maggior parte delle band

underground sono allo sbando, vale a dire senza una linea guida – discograficamente

parlando – che possa dare loro il giusto sostegno e non a caso sono moltissime quelle che

si autoproducono. Come avete vissuto il periodo in cui il disco era pronto ma eravate senza

label?
Quanto conta a vostro avviso avere una label alle spalle oggigiorno?

Il problema della produzione è relativo. Siamo noi a costruire la musica, quindi sappiamo noi cosa

vogliamo dal nostro album e ad effettuare delle scelte precise. Francamente non accetteremmo un

produttore che vuole dare un indirizzo diverso alla nostra musica. Dipende sempre dal produttore

ovvio. Ma muovendoci in un contesto underground abbiamo lavorato molto con Simone Genovese

della C33 per ricreare atmosfere quanto più grunge e stoner, da qui la nostra definizione di Desert

Grunge. Fortunatamente, come nelle migliori delle favole, This Is Core Records ci ha contattato

proprio sei mesi prima dell’uscita dell’album che noi avremmo forse pubblicato con un’altra label.

La label, se lavora bene e se è consone ai propri fini, è importante. Invece non ci piacciono quelle

che hanno nel proprio catalogo mille progetti diversi con mille generi musicali diversi. Diffidiamo.


Tornando a “Vidana”: il disco vanta una innumerevole quantità di riff e stravolgimenti

ritmici. Quale brano ritenete il biglietto da visita ideale del disco e come descrivereste il

disco a chi non vi conosce?
Quando ascoltiamo “Vidana” non riusciamo mai a scegliere un solo brano che possa

rappresentarlo, davvero la scelta e la varietà sono state qualcosa di voluto, dal grunge allo stoner,

dalla psichedelia ai brani strumentali. Posso dirti però che un brano che spacca nei live è “Clever

Girl”.

Nella mia recensione ho parlato dei Wolfmother, una band che a mio avviso pur rimanendo

nell’ombra ha dato molto alla scena rock attuale. Una band che a mio avviso potrebbe

essere avvicinata a voi per estro e capacità di scrivere brani carichi di pathos. Quanto conta

il fattore emozionale all’interno di una band come i V-Device?

Ti assicuro che nonostante “Vidana” sia un album ben prodotto e ben registrato forse non si

avvicina lontanamente ad una performance live dei V-Device. La voce di Davide può trasformarsi

da un canto suadente e caldo a un motorino che sputa rapidamente parole insensate… Luca

Bravaccino è un metronomo vivente, Shiva sorprende con soluzioni mai uguali e Guy Costanzo

che aggiunge dei riff alternativi al riff principale di chitarra unisce la funzione ritmica del suo

strumento a linee melodiche tipiche della psichedelia della seconda metà degli anni 60.

Parliamo dei testi: con quale mood sono stati scritti e quali sono i temi portanti di “Vidana”?

“Vidana” è una Musa: un oracolo nel deserto che ispira il nostro lavoro. I mood sono vari. “Klown

Torture” (che si rifà all’opera omonima di Nauman, “abbiamo cambiato appositamente la C in K”)

ad esempio è un brano sulla violenza, “3 AM” un brano sull’amore non corrisposto, “Policeman

Blues” ha dei risvolti sociali, parla di droga e abuso della Polizia, “Atahualpa” è l’ultimo Re Inca

ucciso dal Conquistador Francisco Pizarro, “Sweetie Jack” è un brano sul whiskey e via dicendo…

La voce è la ciliegina sulla torta del disco: interpretazione molto spontanea e calda nelle

tonalità. Come sono avvenute le lavorazioni sulla voce all’interno del disco? Siete

soddisfatti del livello raggiunto?
Simone Genovese della C33 è forse uno dei migliori produttori in circolazione a Napoli e la

registrazione delle voci sono il suo forte: per ogni traccia vocale che senti c’è sempre un’ottava più

grave che rende il corpo della voce più espressivo. Soddisfattissimi.


Discorso live: spesso e volentieri siete soliti espatriare. Una precisa scelta quella di cercar

fortuna soprattutto all’Estero o una cosa del tutto spontanea? Come è stata la risposta

generale di pubblico e critica al nuovo disco?
Dopo aver suonato in tutti i posti della tua città poi devi muoverti, devi andare a vedere il mondo.

Per noi comunque è stata una scelta naturale. Il nostro mercato è fuori. All’estero ci trattano come

star, soprattutto all’Est vedi Polonia e Serbia.

Guardiamo oltre, ossia a come proseguirà questo 2015: cosa dobbiamo aspettarci dai V-
Device?

Abbiamo molte date in programma tra Londra, Amburgo, Berlino, Aukrug Festival, Rock Village

Festival in Serbia. L’uscita dell’album, anche grazie alla This is Core, non è stata in sordina e i

contatti crescono. Dai V-Device aspettatevi sempre tanto impegno per la causa.


C’è qualcosa che non vi è stato ancora chiesto e al quale vorreste dare una risposta? Se sì

questo è il momento!
No, bella intervista e grazie per le belle parole.

Intervista a cura di Golem

 

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