Avevamo già parlato degli A Perfect Day in passato, ma si sa’, quando una band ti colpisce, non ci si stanca mai di avere a che fare con la loro musica. Questa volta però Ondalternativa ha il piacere di un Tête-à- tête direttamente con i fab four al Legend Club di Milano, poco prima del loro concerto il 10 di giugno:
Ciao ragazzi e grazie per essere qui con Ondalternativa. Vorrei farvi subito una domanda a bruciapelo: cosa vi ha spinto a lasciare il power metal e lanciarvi in un genere completamente diverso?
Andrea: Mah in realtà nel power metal ci sono finito per caso, nel senso che, non è mai stato il mio genere preferito ne’ tanto meno lo è oggi. L’abitudine che avevamo ai tempi era quella di scrivere canzoni che partivano più dal Thrash vecchi scuola, è chiaro che se poi a un riff Thrash aggiungi una voce molto melodica, delle tastiere e quant’altro, il risultato che ottieni è molto più vicino al power metal. L’altro aspetto è che nella produzione passata, con i Labyrinth, in realtà ci sono tantissimi momenti che col power non hanno nulla a che fare, però essendo Moonlight e Thunder le due canzoni che probabilmente ci raccontano meglio secondo il pubblico, è chiaro che poi l’impronta è stata quella. Trovo invece una grossissima linea di continuità dal punto di vista musicale è chiaro che, nel momento in cui un’idea viene condivisa con loro, prende una forma totalmente diversa. Se analizzo tecnicamente le canzoni ci sono tantissimi punti di affinità con la produzione dei Labyrinth, è chiaro che poi il vestito che dai fa’ la differenza, quindi io scrivo perché’ mi piace onestamente, dopo di che’ se lo condivido con loro, visto che è un lavoro di squadra, prende una forma e se lo condivido con altri ne prende un’altra.
Come hai affrontato la transizione dai Labyrinth a APD?
Andrea: Con i Labyrinth eravamo fermi come lo siamo regolarmente ogni cinque anni e, quando torno a casa la sera, accendo il computer e scrivo. Sul primo disco ho condiviso le idee con Alessandro e con Roberto, a questo giro le ho condivise con loro (riferito ai membri di APD). In realtà’ non l’ho vissuto come un momento di passaggio, è stato tutto molto lineare, fluido.
Non è stato difficile dato che sono due generi diversi?
Andrea: Assolutamente no, è un concetto un po’ complicato da spiegare, ma qualunque brano musicale cui tu possa pensare, a partire da O sole Mio, se gli dovessi aggiungere una doppia cassa e un paio di chitarre distorte, diventerebbe un pezzo power metal, ma tu hai scritto O Sole Mio. Quello che scrivo di solito è abbastanza lineare, è chiaro che condividendolo con loro ha preso una forma diversa, però non è stato ne’ traumatico ne’ difficile. Di sicuro il gruppo non ha ancora espresso le proprie potenziati’ al massimo, ma si spera di farlo già’ dal prossimo lavoro.
Qual è stata la principale fonte d’ispirazione del nuovo album? (non parlo di bands) Come è nato?
Andrea: E’ stato tutto abbastanza casuale, la musica è la mia passione e il linguaggio con cui riesco a esprimermi meglio. Alla fine torni a casa dopo una giornata che ha portato con sé una serie di avvenimenti, di sensazioni, di emozioni, forti a tal punto da farmi crescere la necessità’ di fissarle in qualche modo, così’ accendo il computer e registro. Mia moglie mi dice sempre “Cazzo Andrea, ma non puoi scrivere ‘Vespa 50’ e fare i miliardi?” (ride) e la mia risposta è “Magari saperla scrivere!”. “My Lonely Island”, sembra essere uno specchio introspettivo. In questa canzone parli di essere “sperduto”.
Da cosa proviene? Hai attraversato un periodo d’incertezze che ti ha portato a scrivere questo brano?
Andrea: (ride) si è vero… è sempre bello sputtanarsi nelle interviste. (risata generale) L’ho voluto scrivere per una ragione. Per una serie di ragioni di natura personale stavo costruendo la mia isoletta, all’interno della quale chiudermi e lasciare che le cose andassero, probabilmente in maniera anche non troppo positiva, come racconta il testo. Era una sensazione che provavo in maniera molto forte ed ho voluto raccontarla. Sono momenti, non soffro di depressione o che, però personalmente io scrivo musica con l’obiettivo di riascoltarla tra vent’anni o farla ascoltare tra chissà’ quanti anni a chi lo vorrà cercando però di raccontargli qualcosa o di condividere qualcosa. Prendiamo come esempio Ligabue, tratta dei temi così trasversali da toccare l’animo di tante persone e, secondo me, l’abilità di quegli artisti è proprio la facilità con cui arrivano alla gente proprio grazie al trattare di tematiche in cui è facile ritrovarsi, ed in piccolo cerco di farlo anche io. Invece, “In The Name of God” va a toccare un argomento ben preciso che ultimamente sta mietendo vittime e offuscando parecchie menti, prendendo di mira anche la musica metal.
Posso chiedervi qual è la vostra opinione in merito al fatto che spesso e volentieri la musica metal sia accusata di essere causa di misfatti da parte di chi l’ascolta?
Andrea: Allora, io ti dico la mia, poi lascio la parola agli altri. Ci sono due aspetti dal mio punto di vista che vanno tenuti in considerazione: il primo è che si è sempre fatto uso di un “sottofondo” metal ad esempio per un qualsiasi servizio riguardante il satanismo o simile, è ovvio che non posso usare una canzone della Oxa o chi per esso, non quaglierebbe. Il secondo è che nel metal si è sempre fatto uso ed abuso di una simbologia a cui in realtà poi non ci sentiamo particolarmente legati, cioè’ è una critica che faccio al nostro movimento, gli Slayer ad esempio, che sono una delle band che preferisco, hanno un cantante che è estremamente cristiano e poi mi scrivi “Angel of Death”, cioè’ no fermati… e allora mi viene da dire, spettacolarizzazione o semplicemente il “ho centrato un testo che è piaciuto” e continuo tutta la vita a fare quello. Un terzo elemento però è l’ignoranza, e su quella ragazzi miei ci possiamo fare ben poco perché se una persona non riesce a fare distinzione tra spettacolo, finzione e quant’altro, e la realtà’ delle cose, è solo ignoranza. Ok ci sono degli artisti molto provocatori, ma non hanno la colpa al 100% degli avvenimenti che accadono, la colpa è di entrambe le parti forse: dell’artista che provoca e commette atti sul palco che fanno scena, e dell’ascoltatore che vede lo spettacolo come un fatto di vita reale e non come uno show quale è.
La musica è arte e quindi anche evoluzione. Quali sono, secondo voi, i maggiori cambiamenti ai quali stiamo andando incontro negli ultimi decenni? Come influiscono secondo voi, sulle persone, sia delle vecchie sia delle nuove generazioni?
Marco: ma secondo me la tecnologia ha giocato un ruolo fondamentale, sia nel bene che nel male, nel senso che ormai da’ l’opportunità’ a tutti di fare, anche in casa, un lavoro che 15 o 20 anni fa’ era impensabile. Ora invece è tutto più’ facile, dal registrare, fare le prove, far ascoltare un prodotto in giro, con il rovescio della medaglia che al giorno d’oggi è anche facile scaricare musica ovunque in giro per la rete. Ad esempio quando ero ragazzo ascoltavo la musica solo in casa, davanti allo stereo, ora invece puoi ascoltare musica ovunque ti trovi, col telefono o il portatile o qualsiasi altro apparecchio e ciò’ ha fatto perdere secondo me l’interesse anche nell’interessarsi della band in se’. Mi ricordo che delle mie band preferite sapevo tutto di tutto, titoli di album e canzoni compresi, ora invece macinano singoli uno dietro l’altro e vedo gente che non sa nemmeno a che album appartengano o di chi siano, e poi è talmente facile reperire musica con il contro che le band hanno minori introiti. Non vedo una carenza di idee rispetto al passato, non ci sono band peggiori, ma la tecnologia ha decisamente cambiato ogni cosa e poi c’è anche da dire che le band di una volta erano più’ mitizzate, non c’era un contatto diretto artista – pubblico, ora invece ci sono artisti che ti rispondono su Facebook e via dicendo.
E, sempre infierendo sulla tecnologia, personalmente posso affermare che mi capita spesso e volentieri di andare a vedere una new-entry che si esibisce live, dopo averne ascoltato l’album fatto e finito, e notare come la performance live sia totalmente diversa dal brano registrato perche’ troppo elaborato al computer e quindi poi difficile da riprodurre live. Ormai tutti possono fare musica…
Luigi: C’è da dire che c’è stato tutto un meccanismo che potremmo definire Darwiniano nel corso degli anni, come una sorte di selezione naturale. Prendiamo per esempio la fine degli anni 80, se tu arrivavi a fare un disco era perché’ comunque c’era stato tutto un percorso dietro che già’ ti aveva scremato e a differenza di adesso, c’eri arrivato sudando. Era quasi impensabile, tranne che per alcuni talenti naturali, registrare un album dopo soli sei mesi di attività’, adesso invece la tecnologia fornisce degli strumenti incredibili (come ad esempio, anche se viviamo tutti uno lontano dall’altro, riusciamo ugualmente a fare musica), ma creando questo vortice di “troppa facilità” e come spesso succede quando c’è troppa facilità nel fare le cose, poi si arriva alla banalizzazione e, come hai detto tu prima, al fatto che il live non rende quanto il prodotto registrato e dico grazie che esistano ancora i live, lunga vita al live, perché’ alla fine è la prova del 9, da lì non si scappa.
Andrea: la ragione semplice è che, ai miei tempi, il disco era l’obiettivo, il traguardo da raggiungere dopo aver compiuto un percorso che era fatto di sala prove, live etc… oggi invece il punto di partenza è il disco o il filmato da mettere su youtube, per poterlo fare, come dicevano loro, ho i mezzi e anche se non ho i mezzi come musicista riesco comunque, attraverso la tecnologia, a colmare le lacune e da lì parto. Peccato che, seguendo quel tipo di percorso, alla prima serata che ti trovi su un palco, è un disastro. Uno dei complimenti più’ belli che stiamo ricevendo in queste date che stiamo facendo come riscaldamento al Sonisphere di Roma, è “Ragazzi, rispetto al disco, siete tutta un’altra cosa, in positivo. Arriva più’ energia, l’emozioni fluiscono meglio, Marco rende trenta volte meglio…” oh magari poi stasera facciamo schifo (risata generale) ma questo succede anche ai migliori, no?
Luigi: mi permetto di fare un’affermazione forse un po’ pesante, ma mi sento di farla perché comunque il clima è buono e stiamo parlando apertamente: credo che se tu al giorno d’oggi spegnessi il computer, immaginala come un ritorno al passato, scremeresti un buon 80% delle band che ci sono adesso sulla scena musicale. Perché’ il problema grosso che c’è oggi non è che vince, termine brutto, chi suona, ma vince chi sa fare marketing e fare marketing è un’arte diversa dal fare musica, ma che dovrebbe essere completare a tale. Quando ancora il sistema funzionava e c’era il musicista, il produttore, il fonico, il giornalista e chi faceva marketing per l’etichetta, adesso invece prima fai un piano di marketing e poi capisci se sei capace di suonare, poi interpelli l’esperto in materia di smanettamento informatico, arrivi al disco che è il prequel necessario e da lì ne consegue. E’ un sistema che si è invertito. Per contro è anche vero che la musica è evoluzione e non è che si debba sempre rimanere fermi alla cappella sistema di Michelangelo, anche se credo che il rock ormai abbia scritto già’ le pagine più’ importanti che poteva scrivere. Andrà’ avanti, magari sotto forme diverse, ma…
Ma non esisteranno più’ i master-piece…
Adrea: Però era anche la tua predisposizione a quel disco che gli permetteva di diventare un master- piece. Ormai la durata di un prodotto è talmente breve da non permettere ciò’. Una volta quando ascoltavi musica su casetta o vinile aveva un senso diverso, ora puoi tranquillamente skippare quando ti pare e piace.
Marco: Ormai tornare indietro a come si lavorava vent’anni fa’ non si può più, tutti noi lo vorremmo, ma è impossibile…
Alessandro: Non li vogliamo più’ i master-piece, è questo il problema. Io sfido, su 100 persone a cui dai in mano un ipod e gli dici “ascoltati sta roba” vedrai che 99 skippano, perché è troppo forte questa cosa, tu hai il potere di farlo e lo fai. Con la musicassetta non potevi farlo a meno che non avessi una biro o fino al giorno in cui non hanno inventato il fast-forward, ma anche lì, dopo un po’ la cassetta si rovinava.
Andrea: esatto, o anche con il vinile potevi saltare da un pezzo all’altro, ma la cosa era più’ pensata dato che dopo un po’ avresti corso il rischio di rovinarlo.
Alessandro: ma se ci troviamo in questa situazione, non è colpa di chi c’è dentro e la sta vivendo, ma è colpa di chi c’era prima… perché’ ad esempio, se noi i dischi metal siamo costretti a farli tutti con la batteria quantizzata, è colpa dei signori degli anni 90.
Andrea: Dobbiamo tornare tutti a ricostruire, perché’ le etichette non è che stiano vivendo d’oro, le etichette stanno chiudendo, stanno licenziando, in America solo l’anno scorso hanno perso 40’000 posti lavoro nell’ambito della musica e dello spettacolo, è un discorso estremamente complesso, con mille sfaccettature. Per quanto ci riguarda, noi passiamo delle gran belle serate insieme, ci beviamo una birra, chiacchieriamo con persone piacevoli come te e questo è sufficiente, cioè’ l’obiettivo è raggiunto. Il piacere di ritrovarsi per scrivere una canzone è ciò che ci guida, quello che viene dopo è un di cui, deve essere un di cui, perché’ non puoi andare a letto la sera con il pensiero “devo diventare famoso”. Oggi siamo tutti musicisti, tutti fotografi, tutti attori, siamo tutti tutto. Penso che ognuno di noi abbia 100, 200, 1000 foto sull’iphone, ma quante ne abbiamo stampate? Il piacere di vedere una foto su carta, di leggere un libro e percepire l’odore delle pagine e non di sfogliarlo in modo virtuale su un Kindle. Sono cose che le generazioni di adesso non sanno nemmeno, ma proviamo a ripartire da lì, trasmettere tutto ciò anche ai più’ giovani, anche attraverso la musica.
Luigi: qui però entriamo con una lancia in uno scontro generazionale (risata generale) perché’ chi è nato con l’impone non si porrà mai il problema…
Andrea: però noi abbiamo l’opportunità’ di far conoscere l’alternativa all’iphone a queste persone e permettergli di scegliere se l’una o l’altra.
Luigi: sarà dura…
Sarà molto dura…
Andrea: però sai, si può’ fare…
Marco: sai, c’è gente che non sa’ neanche di cosa stai parlando perché’ non ha mai provato.
Andrea: Però tutti noi quotidianamente abbiamo la possibilità’ di farlo in piccolo… chi ha la fortuna come noi di poter raccontare qualcosa, ha solo un obbligo: quello di andare al Sonisphere, all’una di pomeriggio, spaccare e far pensare a tutti quei ragazzini con la nostra stessa passione, che fino ad oggi hanno lavorato con i computer, di fargli pensare “porca troia, però se vogliamo arrivare lì questo non basta” questo è quello che intendo e già’ poterlo ottenere significherebbe tanto.
Un grosso ringraziamento a Andrea Cantarelli (guitar), Marco Baruffetti (vocals & guitar), Gigi Andreone (basso) e Alessandro Bissa (batteria) per la disponibilità e il tempo dedicatoci.
Vi ricordiamo che gli APD saranno presenti al Sonisphere il 24 di luglio, non perdeteli!
Qui trovate il link al video del singolo In The Name of God
A cura di: Tatiana Granata