Dopo una lunga attesa, siamo felici di annunciare i primi nomi della quarta edizione del SIREN FESTIVAL che si svolgerà a Vasto dal 27 al 30 luglio.
27 – 30 LUGLIO 2017
VASTO (CH) • SIREN FESTIVAL
Da giovedì 6 aprile saranno disponibili sul sito ufficiale gli abbonamenti early bird per la manifestazione al costo di 50 euro più diritti di prevendita.
ALLAH LAS • APPARAT dj • ARAB STRAP • BAUSTELLE • DANIEL MILLER •TRENTEMØLLER
And more…
Siamo felici di presentare il nuovo artwork per il SIREN FESTIVAL 2017, a cura di Gianni Puri Gianni Ian Puri è un illustratore, architetto e musicista con base a Roma. Lavora nel campo dell’illustrazione editoriale, della grafica musicale e pubblicitaria. Cofondatore e art director di La Macchina Studio. Ama il riverbero e gli animali dal collo lungo. Nell’ideare il nuovo artwork per il Siren Festival 2017, Gianni ha immaginato il festival come energia vitale che illumina la città, come un mare che avvolge e inonda ogni angolo di Vasto!
ALLAH LAS
Freschi di pubblicazione del bellissimo Calico Review, pubblicato nel settembre del 2016, gli Allah-Las arrivano al Siren. La band californiana si è imposta all’attenzione generale con il loro album di debutto omonimo, uscito nel 2012, in cui il quartetto, composto da Miles Michaud, Pedrum Siadatian, Spencer Dunham e Matthew Correia, ha dimostrato ampiamente tutto il suo amore per le sonorità psichedeliche degli anni ’60. Il gruppo si forma quando tre dei suoi quattro componenti lavorano al mitico Amoeba Store di Los Angeles, fonte inesauribile di gemme musicali della storia americana. È qui che approfondiscono la loro passione per il garage e la psichedelia. L’universo sonoro degli Allah-Las è una perfetta miscela di pop stile British Invasion, di psichedelia della West Coast americana e di grezzo rock’n’roll garage.
Sin dal primo singolo, (Catamaran) nel 2011, il quartetto viene prodotto da Nick Waterhouse sulla sua Pres Label. Nel 2012 il produttore fonda la nuova label Innovative Leisure e li porta con sé, producendo il loro omonimo debutto. E’ l’inizio dell’ascesa per la band californiana che riceve critiche entusiastiche anche in Europa, dove il suo debutto a Londra viene descritto dal Guardian come “a blissful 45 minutes on a cold night”. Gli Allah Las si affermano come i capofila di un intero filone revivalista nei suoni, celebrato anche in diverse serie televisive (“Aquarius” con David Duchovny di X-Files e Californication). Il 2014 vede la pubblicazione del secondo album Worship the Sun che non tradisce i fan e conferma il loro talento e il loro stile. Due anni dopo arriva Calico Review, raccolta di gemme pop psych pubblicato con la Mexican Summer che mette in luce la capacità della band di andare oltre il revivalismo e di dar vita ad un universo sonoro originale, frutto di diverse influenze.
APPARAT DJ
Grazie a lui, il dancefloor ha (ri)scoperto un’anima: giocare anche sull’espressività, sulle emozioni, su dolci e feroci malinconie, e non unicamente sull’architettura ritmica. Apparat, alias Sascha Ring, classe 1978, è ormai a pieno titolo uno dei giganti dell’elettronica contemporanea: lo è da solista (“Walls”, 2007, è un caposaldo assoluto), lo è stato nelle collaborazioni con Ellen Allien (la co-produzione di “Berlinette” o l’album a due “Orchestra Of Bubbles”), lo è nell’aver dato vita assieme agli amici Modeselektor al supergruppo Moderat (tra album all’attivo, il primo nel 2009, e un successo che ha abbattuto steccati come pochissimi altri nell’ultimo decennio).
Ma lo è fin da quando John Peel, nel 2004, lo invitava ospite delle sue “Sessions”. Un’artista a trecentosessanta gradi, capace di passare dalle colonne sonore da compositore per il teatro su rifrazioni ambient e post rock (“Krieg Und Frieden”, 2013) a un’attività da dj fatta con piglio e personalità, dove le radici della musica elettronica così come oggi la conosciamo si si sviluppano su gemme old school, schegge acid, lunghe escursioni techno oscure ed inquietanti, arrivando però a contaminarsi con le frequenze basse e le ritmiche spezzate più contemporanee. Anche dietro la console, la sua visione è insomma forte, inconfondibile, unica. Una dote rara, al giorno d’oggi. Davvero rara.
ARAB STRAP
A venti anni dalla loro formazione e a dieci dal loro scioglimento, gli ARAB STRAP dopo una mitica reunion lo scorso anno per tre live andati sold out in poche ore IN UK, arrivano al SIren Fesival, freschi di pubblicazione di un doppio album contenente secret hits e rarities dalla loro carriera. il duo cult-pop scozzese, composto da Aidan Moffat e Malcolm Middleton, arriva in Italia per celebrare il compleanno della band ad un anno dalla grande reunion ed a pochi mesi della pubblicazione del doppio album celebrativo. L’omonima compilation, che racconta i dieci anni di una carriera tanto influente quanto controversa, mostra tutte le straordinarie capacità di una band che ha sempre rifiutato di conformarsi a qualsiasi aspettativa. Dall’ottima Shy Retirer al piano noir di Love Detective, dal lo-fi sconnesso di The Clearing all’elettronica spartana di Rocket, Take Your Turn, gli Arab Strap si sono rivelati sempre senza paura ed originali sin dal primo minuto di Aidan in First Big Weekend del 1996.
Arab Strap, uscito a fine settembre, come racconta lo stesso Moffat, mette in luce le varie anime della band: “Abbiamo scelto 20 canzoni – una per ogni anno da quando abbiamo iniziato – e deciso di dividerle in due sezioni di dieci ciascuna. Il primo disco è una sorta di best-of, con particolare attenzione alle cose un po’ più elettroniche. Il secondo disco contiene rarità tratte da EP, b-side, out-take e c’è un po’ più rock qui. Credo che tutte queste canzoni sarebbero dovute entrare negli album per cui sono state scritte, ma qualche volta cerco di raccontare una storia e queste probabilmente non sarebbero entrate bene. Questo cd contiene canzoni più rock e con una batteria vera, quindi tutti quelli che cercano il nostro lato più noise, dovrebbero rimanere soddisfatti.”
L’idea di una possibile reunion per una serie di concerti anniversario è arrivata nello stesso momento in cui la band si è sciolta, ha confessato Middleton. “Credo che il giorno in cui andammo al pub e ci siamo sciolti, scherzammo sul fatto che gli Arab Strap si sarebbero riuniti 10 anni dopo per festeggiare il momento. Quindi si tratta proprio di questo: un’occasione per godere della musica che abbiamo fatto, ancora una volta”.
Tutti coloro che da anni sentono nostalgia del suono inimitabile e indimenticabile del duo,voce fondamentale dell’indie rock, saranno finalmente ripagati dell’attesa!
BAUSTELLE
Mentre il tour teatrale di presentazione dell’album L’AMORE E LA VIOLENZA è ormai arrivato al giro di boa, facendo registrare ovunque il tutto esaurito, i BAUSTELLE annunciano oggi la loro partecipazione al SIREN Festival, nell’ambito del tour estivo intitolato L’ESTATE, L’AMORE E LA VIOLENZA. L’AMORE E LA VIOLENZA (Warner Music) è il nuovo acclamato album dei Baustelle prodotto artisticamente da Francesco Bianconi e mixato da Pino “Pinaxa” Pischetola. Composto da dodici brani – dieci canzoni e due brani strumentali – si tratta del settimo album di studio del gruppo.
“Quando penso a questo disco l’aggettivo che mi viene in mente con più frequenza è “colorato”” – dice Francesco Bianconi. “Volevamo fare un disco con dentro le canzoni pop che non sentiamo mai alla radio, fare un disco di canzoni pop che per una volta, come una volta, non temano di rivelare una propria eccitante complessità. Questo è forse il nostro disco più libero, da questo punto di vista. In una intervista di qualche mese fa ho detto che “L’amore e la violenza” sarebbe stato un disco “oscenamente pop”. Questo intendevo: musica che non si vergogna di esibire la propria libertà. In questo senso è “colorato”: nella maniera in cui gioca a essere libero. Chi l’ha detto che non si può far suonare Haydn e Moroder nella stessa stanza? Dipende dal modo in cui li fai suonare, e dal coraggio che hai nel lasciarli provare.”
La band di Francesco Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni) sarà affiancata sul palco da Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano De Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere) e Andrea Faccioli (chitarre).
DANIEL MILLER
Fondatore della Mute Records, colui che ha scoperto nomi come Depeche Mode o Moby (giusto per citarne due, ma l’elenco sarebbe lunghissimo): Daniel Miller, classe 1951, potrebbe vivere di rendita sul suo status di leggenda della discografia mondiale. Ma la sua attitudine, da sempre visionaria, spigolosa, rivolta verso il suono del futuro, lo ha portato negli ultimi anni a reinventarsi una carriera come dj in campo techno ad altissimo livello. Nasce tutto dall’invito dell’amico (e fan!) Karl O’Connos, alias Regis – metà del duo Sandwell District, un’istituzione della techno britannica più solida e priva di compromessi – per dividere la console durante un set al Berghain, santuario assoluto della club culture globale più intransigente e rigorosa. Niente di nostalgico, nessun set revival a celebrare glorie passate (come la seminale hit “Warm Leatherette”, anno 1978, la produzione che ha lanciato Miller nell’industria discografica alternativa), ma suoni cupi, cattivi, inquietanti, una tech-house perfettamente al passo coi tempi se non direttamente con un futuro sinistramente distopico. Da lì in avanti sono arrivate chiamate di enorme prestigio: lo Space ad Ibiza, il Melkweg durante l’Amsterdam Dance Event, il Sónar, il Bootleg a Tel Aviv, Culture Box a Copenhagen, una Boiler Room a Berlino targata m_nus su invito diretto di Richie Hawtin.
TRENTEMØLLER
Ricami melodici che colpiscono al cuore, attenzione al suono in ogni minimo dettaglio, la capacità di combinare sensibilità indie e quelle elettroniche con un piglio raro, molto personale: è con queste armi che il danese Anders Trentemøller è diventato uno degli artisti più amati dell’ultimo decennio. Una storia d’amore, quella fra lui e un pubblico fin dall’inizio molto vasto, preparato e trasversale, iniziata dalle sue prime produzioni (una serie di EP a partire dal 2003) e soprattutto dal suo album d’esordio “The Last Resort”, anno 2006, finito all’epoca in moltissime classifiche sui migliori album dell’anno, dandogli definitiva consacrazione. I successivi “Into The Great Wide Yonder” (2010) e “Lost” (2013) non hanno fatto che confermare il suo status di artista sia di culto, sia in grado di parlare a pubblici diversi, sfaccettati.
La musica di Trentemøller sfugge infatti catalogazioni precise: il suo tocco molto personale nell’attraversare le coordinate comprese fra elettronica ed indie non si fa in alcun modo ingabbiare in traiettorie predeterminate. “Fixion”, uscito a settembre 2016, più che essere una rivoluzione rispetto al suo predecessore “Lost” (lavoro che probabilmente meglio di tutti è riuscito a catturare e raccontare lo spirito della musica Trentemøller nella sua traduzione live, lì dove gli album precedenti erano più “avventure da studio”) ne è una prosecuzione ideale. Restano alcuni fondamentali tratti distintivi: il tocco malinconico, la preziosità delle soluzioni melodice ed armoniche, un romanticismo di fondo molto scuro. Mai come prima comunque si è fatta attenzione a rendere il suono vivo, organico, e a lavorare attorno a una strutturare più tradizionale e riconoscibile di forma canzone. Apparentemente, un disco più immediato e semplice rispetto ai suoi predecessori: come sempre però nel lavoro dell’artista danese il lavoro sottotraccia è notevole, molti elementi a prima vista nascosti si rivelano piano piano – è in questa maniera che si riesce ad avere un suono unico, riconoscibile, inconfondibile, che spesso flirta con la sperimentazione e sa muoversi con naturalezza da pochi tocchi minimalisti di synth via via fino a una cruda energia che lambisce le sponde dell’electro-punk più energetico.
Energia che contrassegna sempre più il suo aspetto live, dal 2007 con una vera e propria band e non più in solitaria. Il tour che segue l’uscita di “Fixion” vede Anders Trentemøller sul palco con altri quattro rodati compagni d’avventura, tra cui Marie Fisker alla voce, pronti a destreggiarsi tra basso, chitarra, batteria e vari synth. Un organico di grande impatto, la cui forza è ulteriormente valorizzata dal solito attentissimo lavoro su luci e visuals e dal contributo dell’artista svedese Andreas Ermenius (già responsabile dell’artwork di “Fixion” e regista dei video dei tre singoli da esso estratti), che ha curato il design del palco.