Hanno aspettato 14 anni e ben tre EP prima di poter far uscire un album sulla lunga durata, ma quest’estate, sfidandoanche l’emergenza pandemica in corso, i Thing Mote hanno finalmente ritenuto i tempi maturi per poter pubblicare Robokiller.
Si tratta dunque di un esordio ben calibrato e ragionato in ogni suo dettaglio, con una struttura sonora che lascia davvero poco al caso. Con l’orecchio vigile di Jacopo Gobber alla cabina di regia,la band veronese riesce, infatti, ad intessere un mosaico fitto di influenze che si innestano attorno alla matrice di stampo rock della band. Troviamo in maniera preminente le incursioni grunge, come nella titletrack apripista con le sue ritmiche incalzanti super serrate o come in “Machines Are Coming”; il post-rock di estrazione math, come in “Stillness” e in “Memories”, con linee melodiche che diventano a tratti goth, fino ad arrivare al funereo canto del cigno di “Wasteland”. Chitarre infervorate e midtempo distillati che incorniciano l’apatia sentimentale senza speranza di “Her” e “Hoax” con miscele viscerali di punk e tinte emo-core. Momenti di sospensione, invece, in “Aukland and You”, che sembrerebbe a primo acchito una ballad ma a metà s’infervora verso un finale ruggente, e in “Awake”, che invece scardina sfrontatamente il nu new-waveinglese a cui pure si ispira.
Dal punto di vista tematico, il disco è un conceptincentrato sul fil-rougedel rapporto sempre più morboso che lega gli esseri umani con la tecnologia, mettendo in discussione la realtà distopica che scaturisce dal modo in cui viviamo gli spazi virtuali sui quali proiettiamo la nostra esistenza. Lo scenario che tratteggiano i testi estremizza il divario tra il robotismo umanoide e il sentimentalismo sterile che non riesce più ad attecchire in un tale contesto di progressiva perdita di umanità. Lo definiscono un “Black Mirror” musicato in chiave rock. Anche se comunque i testi, pur essendo profondamente cinici, non si pongono mai sul piano di un pedante intento didascalico e neppure sfoggiano un’ottica di tipo moralizzante di chi si ritiene immune da determinate dinamiche. Nel comunicato stampa che ha preceduto l’uscita del disco, i Thing Mote hanno chiarito che il loro intento non è mai stato costruire un “manifesto luddista” ma piuttosto “uno spunto di riflessione”, in cui si ritrovano loro stessi in prima persona.
Il tutto, inoltre infarcito di molteplici riferimenti intertestuali inframmezzati ai pezzi. Oltre i riferimenti di più immediata comprensione (come “Her” dal titolo dell’omonimo film di Spike Lee e l’altrettanto esplicito richiamo all’opera di T.S. Eliott nella finale “Wasteland”), fanno la loro comparsa in sequela nel brano “Hoax” anche il filosofo Michael Foucault, lo scrittore E.A. Poe, il linguista Ludwig Wittgenstein e il regista Orson Welles; mentre la sequenza martellante che viene ripetuta sul finale di “Robokiller” è tratta dai verbali del processo di Norimberga, pronunciata dai generali nazisti incolpati.
Un disco composito sotto tutti i punti di vista, dalla fruizione non particolarmente immediate sia come composizione sonora che per i riferimenti che lo compongono, ma al tempo stesso un disco versatile e fresco. Buon esordio!
Tracklist:
- Robokiller
- Stilness
- Redroom
- Memories
- Awake
- Auckland And You
- Her
- Machines Are Coming
- Hoax
- Wasteland
A cura di: Francesca Mastracci