Live Report Deafheaven, Traffic Live, Roma, 4/06/2014 La domanda che tutti i critici musicali senza niente di meglio da fare si pongono in continuazione: perchè proprio i Deafheaven devono rappresentare la band che si è sobbarcata l’arduo compito di sbolognare il black metal a chi non lo ha mai ascoltato? Personalmente direi che vi sono semplicemente aridi meccanismi di marketing al lavoro, che vi sia di mezzo Apple non è certo una sorpresa, ma alla fine non è neanche una domanda che mi tange particolarmente. Mi interessava di più ascoltarli dal vivo e, finalmente, dopo due tour italiani che non hanno mai toccato la capitale, siamo stati fortunati a beccarli al Traffic. Di sicuro, ecco, il pubblico presente era di quelli talmente variegati che potevi passare l’intera serata a contare le diverse categorie: malaugurati hipster con camicie decorate, gente improponibile che sembrava uscita da “Porky’s” (ve li ricordate? Eh io sto invecchiando), metallari generici e palesemente spaesati e così via. Di spalla alla blasonata band californiana, troviamo i Tomydeepestego, gruppo romano dedito a un sincero post rock strumentale, caruccio e dimenticabile. Verso le 23:15 i nostri cominciano a preparare il palco e la loro salita sul palco non sembra portare grandi reazioni da parte del pubblico. L’inizio è naturalmente riservato a Dream House e già questo porta qualche giusto urlo di piacere e un discreto scatenamento quando parte il furioso blast beat. Il frontman George Clarke è un enigma. per esistere e per concedersi a tutti. Eppure ci gioca perennemente intorno, finendo per concedersi pure troppo, manicalmente posseduto dal fare in continuazione gesti a caso, sembrando quasi una guida per non udenti talmente non sta mai fermo con le mani quando non deve cantare. Ridicolmente azzeccato. Kerry McCoy ha la perenne aria da nerd sfigato assai che non si sa bene cosa c’entri, il che in una band che suonerebbe “black metal” è talmente fuori posto da risultare romantico. E così fuori posto sembravano bassista (sorriso sornione stampato in faccia) e chitarrista; sarà pure il rigorosissimo piano di tour dei Deafheaven, ma non mi stupirebbe se fossero stati tra i pochi disposti a farsi massacrare dal mondo intero per quei due miseri spiccioli. O perlomeno così dice la band californiana, magari ormai arrivano a prendere compensi principeschi e noi non lo sappiamo, per carità. La scaletta comprenderà per intero Sunbather, il che è scelta più che sensata considerando l’ampissimo consenso di critica e pubblico sull’album e come riesce bene in ambito live. L’esibizione è diretta, senza particolari fronzoli aggiunti a quanto ascoltato in studio, a parte qualche breve aggiunta qui e lì e un paio di minimi assoli di McCoy. Da sottolineare anche l’ottimo mixing che per una band così attenta al sound è davvero cruciale. In conclusione, un veloce bis con Unrequited, unico pezzo da Roads to Judah. Usciamo dal locale emotivamente distrutti e con qualche corda vocale in meno. insieme a George “I want to dream”, tanto vale che te ne stai a casa. Un ringraziamento a Gabbo di No Sun Music. A cura di Damiano |
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