Abbiamo avuto tutti (o perlomeno tutti quelli nati prima di Beverly Hills 90210) quel compagno di classe che una bella mattina varcava la soglia dell’aula vestito con un chiodo evidentemente di tre taglie più grande e, a domanda risposta, annunciava che aveva messo su una band punk rock.
Di solito si andava ai loro live nei peggio locali della provincia, si compravano i loro cd, non per un particolare desiderio ma per il semplice fatto che era giusto così e tutti pensavamo che la musica (anche senza necessariamente essere buona) andasse sostenuta. Poi in segreto si sorrideva, seppur malinconicamente, scommettendo con gli altri su quanto mancasse allo scioglimento (con relativo e dovuto proclama ai fan), non tanto perché non si volesse loro bene o perché (anche se in alcuni casi era vero) si pensasse che non fossero bravi, quanto perché, per uno strano lavaggio di cervello che ogni figlio della classe media nei tardi novanta ha subito, in automatico eravamo portati a pensare che ad un certo punto bisognava tornare a concentrarsi e puntare ad un lavoro vero.
Ecco, i Palinka e il loro punk rock sono quei nostri compagni, ma lo sono oggi, nel 2017, e lo sono oggi che la fase della serietà l’abbiamo raggiunta e nonostante ciò, in continui rigurgiti di ribellione mai espressa, siamo profondamente convinti che fare musica per vivere si possa sognare, pensare, progettare e realizzare.
I Palinka poi le cose le fanno come si deve. Della serie: se devi creare un immaginario che riporti a certe atmosfere e sensazioni, allora lo fai come è giusto che sia, senza scordare nessun elemento.
Iniziamo quindi col dire che i pezzi di questo loro secondo disco non sono (come è corretto che sia) pezzi belli. Ma per fortuna, tra le altre cose, la vita ci ha insegnato che di aggettivi e concetti nella lingua italiana ce ne sono molti di più e spesso più efficaci.
Ma #ComeQuelliVeri non si ferma qui. Esattamente come nella miglior tradizione delle band punk rock di cui sopra, questo lavoro ci presenta brani cortissimi (9 tracce per 20 minuti scarsi di durata), testi che non stanno sempre bene in metrica ma che vanno un po’ rincorsi, un cantato che non si cura troppo (ok per niente) della dizione, ma anzi fa emergere il buffo accento bergamasco (provincia d’origine del gruppo) in tutte le sue “e” aperte, e ancora, coretti “uhoooo uhoooo” dei quali del resto non si potrebbe fare a meno, nonché contenuti ironici che giocano con temi di protesta adolescenziale (ma in versione contemporanea) tipici del background da cui l’album pesca. E a questo punto non resta che arrendersi al divertimento, sempre attenti, certo, a mostrare quanto si sia “contro” e urlare, alzare le braccia al cielo e pogare su batteria pesa e testi in italiano (che sembrano) scritti di getto.
No alla bellezza in quanto tale quindi, ma sì al non prendersi troppo sul serio, al riuscire sempre a districarsi tra quel mix di simpatia e stupidità che alla fine ti strappa il sorriso e ti coinvolge senza portarti mai al patetismo. Anche queste sono (grandi) qualità. E i Palinka le hanno. Ché leggerezza non è superficialità, ma soprattutto a volte ne servirebbe tanta tanta di più e chi sa interpretarla e farsene strumento, senza per questo risultare fuori dal tempo, è sempre più raro e merita di essere incoraggiato.
Tracklist:
- Un lunedì sera a Bergamo
- Vecchio Rocker
- Nel mio Far West
- Come Quelli Veri
- Dare i numeri
- Sul mio Divano
- All’Arrembaggio Cani randagi
- Gli Orsi
- Le palle di natale
A cura di: Daniela Raffaldi