Penso che un disco di questo genere, se riesce a non sembrare uno stantio richiamo a tempi e mode che furono, può dirsi riuscito. Come relazionarsi a dischi di richiamo “emo” pop punk in un 2015 che sembra abbia relegato questo genere a un’epoca trascorsa, a vantaggio di trend diversi, con la forse unica imputabile colpa di non aver saputo aggiungere quel minimo d’innovatività per avere longevità nel tempo?
Panic Stations non è l’ennesimo disco revival degli anni 2003\2008 fine a se stesso, ma riesce a riprendere la stessa emozionabilità di certi ascolti senza un senso di nostalgia, come se tutto sembrasse attuale. Un aiuto a questa sensazione nell’ascolto è dato da suoni assolutamente riusciti, potenti e studiati ma non sguaiati nella distorione, che danno manforte a pezzi sempre oltre la soglia della sufficienza. Ma non ci troviamo nemmeno davanti a un’eccellenza pop punk che, forse per fortuna, non è facile nè frequente trovare in giro. Il disco si alterna tra tracce più o meno aggressive a seconda dei contesti, che strizzano l’occhio ai Get Up Kids, senza sembrarne una copia senza personalità.
E’ proprio questo richiamo a dare, anzi, sufficiente personalità all’album Insomma, tra la tanta quantità e poca qualità di quello che gira su questo genere al giorno d’oggi, Panic Stations è un disco da ascoltare. Che magari non resterà indimenticabile. Ma già questo può lasciare soddisfatti.
01. Anything at All
02. TKO
03. I Can Feel You
04. Lose Control
05. Heavy Boots
06. It’s a Pleasure to Meet You
07. Over It Now
08. Broken Arrow
09. Gravity
10. The Samurai Code
11. Days Will Run Away
Recensione a cura di: Alessandro Piccaluga