Il nome che portano è tratto da “The Colour and The Shape” dei Foo Fighters e già da questo dettaglio si intuisce il fatto che la linea musicale che i Monkey Ranch intendono ripercorrere con il loro primo full-length è quella del post grunge di anni ‘90. Poi prende avvio l’ascolto di Alone e non ci sono più dubbi: il disco è un concentrato di riff distorti, sonorità cupe quanto spigolose, che di tanto in tanto si lasciano inebriare dalle atmosfere rarefatte caratteristiche della psichedelia stoner anni ’70, altre volte invece trovano un respiro più disteso attraverso incursioni blues, senza tralasciare qualche occasionale accenno country (“Danche With the Witch”).
La band pistoiese già all’attivo dal 2012, dopo una serie di cambiamenti nella line-up e numerosi live in giro per l’Italia, è arrivata finalmente all’esordio discografico con un lavoro arrangiato in gran stile, ritmicamente sostenuto da un sound robusto e arricchito dal timbro incisivo del cantante. L’impostazione grunge, come già accennato, trapela da ogni singola traccia, già a partire dai primi arpeggi chitarristici dell’opener “Butcher” che sfociano in un’esplosione sonora dal fraseggio granitico corollato dalla presenza marcata di un basso che ne definisce l’ossatura e dalla batteria che incede percussiva fino alla fine. Il capitolo successivo, “Without Chains”, invece, rallenta il ritmo e si dispiega in dilatati inframmezzi sonori, gettando le basi per quello che sarà “Freedom”, altra ballata rock-blues. La presenza di momenti più chiari e armonicamente ariosi si scontra però con pezzi dal sapore più cupo e rabbioso (come ad esempio “Remember Me”). Questa antitesi trova spesso una sintesi risolutiva nell’intreccio chiaroscurale che avviene anche all’interno di uno stesso brano, dove a momenti più acustici fanno spesso eco giochi di elettricità distorta con urlati violenti. Questo è il caso, ad esempio, di “Unhappy Stories” e di “Renegade”, primo singolo estratto dalla band corredato da un video che ripropone visivamente la dicotomia di luci ed ombre che il pezzo vuole infondere all’ascolto. Le prove che più si staccano dal corpo generale dell’album sono “Picture of You”, sorretta da una postura nettamente punk, ed infine “This One”, capitolo conclusivo di undici minuti in cui vengono esplorate oasi sonore con un incedere onirico che ci fa immergere in atmosfere psichedeliche e rarefatte, tra modulazioni, distorsioni ed eclettismi.
Un suono maturo e ben ponderato segna l’esordio dei Monkey Ranch. E così, con uno sguardo ai ’90, ma con i piedi ben saldi nel presente, aspettiamo che il loro tour italiano si infittisca sempre più di live, per poterne apprezzare soluzioni musicali che, si presagisce, possano sfociare in interessanti sessioni jam.
01. The butcher
02. Without chains
03. Danny boy
04. Freedom
05. Renegade
06. Unhappy stories
07. Picture of you
08. Dance of the witch
09. Remember me
10. This one
a cura di: Francesca Mastracci