I Lankum sono una delle band irlandesi più acclamate delle ultime decadi. Il quartetto di Dublino unisce armonie vocali a quattro voci con arrangiamenti composti da uilleann pipes, concertina, fisarmonica, violino e chitarra. Oltre alla musica composta da loro, il repertorio dei Lankum comprende le filastrocche umoristiche da concerto dublinese, le canzoni di strada, le classiche ballate della tradizione Traveller, le canzoni tradizionali irlandesi e i pezzi dance americani. La band è formata dai fratelli Ian e Daragh Lynch, Cormac MacDiarmada e Radie Peat. Quando non sono in tour, Ian tiene un corso di Irish Folklore e tradizione musicale all’University College Dublin, mentre Cormac e Radie si esercitano con concertina e fisarmonica. I Lankum non sono puramente musica tradizionale irlandese di per sé, allo stesso modo dei Pogue sono più orientati alla “urban music”.
Oltre al repertorio fondamentale della band basato su canzoni tradizionali e influenzato da Frank Harte, Planxty, The Dubliners and the Watersons, i Lankum si ispirano alla vecchia musica americana, al krautrock e alla drone. Negli ultimi anni, la band si è esibita con il nome ‘Lynched’, in omaggio al cognome di Ian e Daragh, ma hanno deciso di cambiarlo in seguito alle implicazioni inevitabili circa gli atti di violenza razzista che hanno preso piede in America. Lankum viene dalla ballata ‘False Lankum’, cantata da John Reilly Jr.
Originariamente la band era formata solo dai fratelli Ian e Daragh Lynch ma col tempo si è ingrandita, attraverso una serie di incarnazioni differenti, fino ad arrivare alla formazione attuale di quattro membri. Con il loro primo album Cold Old Fire e l’apparizione al ‘Later… with Jools Holland’ su BBC, i Lankum hanno dimostrato di essere una band capace di suonare diversi generi. Nell’ultimo periodo sono stati occupati a produrre nuova musica e il 27 ottobre esce ‘Between Hearth and Fire” il loro secondo album e il primo su etichetta Rough Trade (distribuzione Self).
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“Lankum are the darlings of Dublin’s 300 year-old folk scene.” Colin Irwin – The Guardian