“What’s my destiny Dragon Ball – io so che tu lo sai Dragon Ball – perché non c’è – un drago che – sia grande come te”Credo che ogni ragazzo della mia generazione ascoltando questa sigla si sia chiesto almeno una volta nella vita: ma di chi sta parlando?
Di certo non di Goku, perché lui non è un drago, tutt’al più è uno scimmione, ma soprattutto: io so che tu sai cosa? il mio destino forse? Se non avessi mai seguito il cartone animato, ascoltando solo la sigla avrei pensato che fosse la storia di un drago chiaroveggente, probabilmente avvezzo alle taglie comode.
Poi con il tempo ho capito: i tempi per l’acquisizione dei diritti e la messa in onda imponevano ai compositori di avere una sigla pronta fin da subito, pur non sapendo ancora niente sulla storia del cartone animato.
La regola quindi era mantenersi sul vago, “buttarla in caciara”, cercando di non sbilanciarsi in versi troppo incisivi, esorcizzando così il rischio di una sigla che contraddicesse il reale contenuto dell’anime.Ed ecco che mentre ascolto il nuovo disco dei Fucina28 sento riemergere questa nostalgica sensazione di supercazzola musicata.
L’album si intitola “La pace dei sensi – il Nulla” e subito si fregia dell’etichetta di questa nuova ondata indie-rock italiana.
Tra questo genere di dischi non è il migliore né il peggiore, ma semplicemente l’ennesimo.
Sonorità più limpide e pop rispetto a “E’ arrivato il tempo” , esordio auto-prodotto della band, che forse proprio grazie a quel suono sporco e pastoso riusciva, pur nella sua semplicità, a mantenere un carattere distintivo.Ora, non ho mai creduto che il testo di una canzone debba sempre essere portatore di grandi significati. Se ci sono è sicuramente un bene, se non ci sono mi bastano i fonemi, davvero.
Ma se, come in questo caso, i testi hanno tutta l’aria di essere il punto di forza dell’intero lavoro, allora è di dovere fermarsi ad ascoltarli e rifletterci anche un po’ su.Così le parole di Pietro Giamattei, in arte Peter Kuntz, sembrano vittime e quasi complici dell’ignoranza sociale in cui invece professano di sentirsi tanto scomode. Perché oltre a vantare amicizie importanti nel panorama musicale nazionale (o almeno così sembra da come chiama confidenzialmente per nome Dalla e Battiato), si limita a ripetere in rima i consumati mantra da metallaro quindicenne disagiato che se la prende con la ggente (sì, quella con due “g”).
Che poi, come nell’ambigua sigla di Dragon Ball, ancora non si capisce chi sia questa fantomatica gente, se non forse un bersaglio franco su cui sparare a zero, senza la paura di dire qualcosa di realmente scomodo.
Musicalmente poi, la questione è semplice: le idee peggiori sembrano quelle degli Zen Circus, mentre idee migliori ricordano in maniera preoccupante le idee peggiori dei Verdena ai tempi di “Valvonauta”. Il tutto farcito da un ripieno pop melenso che porta la firma di Andrea Salvadori nel ruolo di produttore e art director.
Questo per dire che io Dragon Ball lo guardavo nonostante la sigla, perché sapevo che dopo quel minuto scarso di cassa in quattro e approssimazioni c’era lì ad aspettarmi Goku, incazzato nero (anzi biondo), che scassava di botte il malvagio Freezer.
Così ho ascoltato tutto il disco dei Fucina28 sperando in un Kaio-ken che mi facesse cambiare idea, ma non è successo.
01. Riflessione dei trent’anni
02. Nel paese di Pinocchio
03. La pace dei sensi
04. Amore blu
05. Verde mare
06. Terrore
07. Te stesso
08. L’incostanza Vol II
Recensione a cura di: Tommaso Romano