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Ondalternativa

I Colonnelli – Come Dio Comanda

La musica italiana da qualche tempo mi sembra che si incistata in una spirale vuota e ammuffita: una definizione pseudoscientifica rubata dal libro di Fisica delle superiori, una frase d’amore per la tipa che se n’è appena andata via con la valigia e il tuo cane, e una citazione a cazzo di Marx che dimostra quanto sei sfigato perché hai perso il treno per la rivoluzione. Musica rassegnata per gente che non ha più sogni se non qualche like in più sulla foto del profilo. E poi gioire delle proprie sconfitte.

Poi ci sono i COLONNELLI.

Un trio devastante che spazza via tutta questa merda con la rapidità di un cazzo di uragano di sangue e sudore. Prendono a calci sui denti la tua vita rassegnata del cazzo, con la potenza di un autoarticolato lanciato a tutta velocità contro la tua ridicola esistenza. Appena inizia l’Intro ti accorgi che a breve scoppierà il putiferio, l’arpeggio è il presagio di qualcosa di brutale che sta per accadere, e l’attacco di AMLETO esplode con la violenza del Thrash anni 90 che faceva saltare in aria centinaia di persone sotto il palco.

Ok, ti dici. Un disco alla Bestial Devastation dei Sepultura, niente di nuovo ti rispondi.

Poi Leo Colonnelli inizia a cantare e ti accorgi che non è la solita roba: i testi in italiano sconvolgono la struttura solida dei brani dando vita a qualcosa di personale, rivitalizzando non solo il genere da cui partono bensì regalando nuova linfa alla musica nostrana. Una linfa fatta di morte e sangue. Nessuna inutile ironia, solo la lurida confessione di essere attratto dalla distruzione, dalle viscere squartate, dal frastuono e dalla velocità. Una macchina della morte e della tortura. Anche il sesso in V.M.18 diventa una terribile e perversa celebrazione masochista. Tutto il disco scorre così, violento e impetuoso mentre la voce ti racconta i suoi deliri inconfessabili. Il BLUES DEL MACELLAIO ne è l’esempio più struggente, la poetica della carne fatta a pezzi, del sangue che imbratta lasciando il segno della vita che sgocciola via, mostrando la sua fragilità di fronte al proprio assassino.

Sorprendente è la perfezione con cui i testi si incollano alla ritmica, un uso sapiente della metrica e delle linee melodiche essenziali costruisce un legame forte con le parti strumentali che da “morte” a qualcosa di nuovo e unico. Un disco che ti fa dire FINALMENTE qualcuno che ha coraggio di proporre la propria musica senza compromessi: I Colonnelli non suonano per piacerti, te le suonano e basta. E ne vanno fieri.

Questo secondo lavoro insomma trova le certezze già intuite nel precedente “Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi”, ma guarda avanti, mostrando una consapevolezza ancora maggiore dell’arsenale a propria disposizione.

Una conferma per gli scettici, è la loro pazzesca versione di FESTA MESTA dei Marlene Kuntz, che spazza via l’originale. Niente altro da aggiungere.

Da ascoltare in macchina a tutto volume mentre schiacci il pedale in Autostrada per odiare tutti mentre li superi come un cacciabombardiere incazzato.

 

Tracklist:

  1. Intro
  2. Amleto
  3. Come Dio Comanda
  4. VM 18
  5. Sangue ad Alti Ottani
  6. Demoni e Viscere
  7. Il Blues del Macellaio
  8. L’impeto del Frastuono
  9. Interludio
  10. Festa Mesta
  11. Lochness

 

A cura di: Fabio Federic Gallarati

Immagine che rappresenta l'autore: Tatiana Granata

Autore:

Tatiana Granata