Mettere su un disco (l’ultimo nel ruolino personale dei Band Of Horses) in pieno settembre e durante un lunedì mattina uggioso con temperature in crollo verticale, potrebbe suscitare due tipi di reazioni opposte e contrastanti. La prima simile alle ferite di un coltello tagliente capace di ridurre il cuore in straccetti. Il secondo potrebbe rivelarsi curativo e rilassante. Anche se l’ascolto richiede attenzione in ogni suo passaggio non genera stress, le soluzioni armoniche sviluppano una sorta di rilassamento tendineo e muscolare che fa defluire lentamente tutta la tensione.
Why Are You Ok? esce per l’American Recordings del mai troppo osannato Rick Rubin, produttore che non ha bisogno di presentazioni. Atmosfere lente, trasudanti una certa melanconia, si dispiegano nell’opener Dull Time / Full Moon che da metà in su prende una piega inaspettata. Come fosse davvero stanco di quella malinconia che li ha avvolti negli ultimi anni, il combo spinge di colpo sull’acceleratore per non rimanere soffocato da pensieri ammorbanti. Le chitarre stridono ma senza ferire veramente, fungono da adrenalina iniettata per risvegliare il cervello dal torpore, i nuovi impulsi elettrici generati evitano così l’imballaggio con un susseguirsi di emozioni forti ma dai toni ovattati. Producono un sound delicato, le linee melodiche traverse trovano una trasposizione fisica in Hag, take eccelsa con buoni arrangiamenti e orchestrazioni tonde ma non per questo ridondanti. Considerati gli ultimi due album non proprio a fuoco e privi di guizzi, questo nuovo lavoro vanta la produzione di Jason Lytle dei Grandaddy a cui si somma la collaborazione con J. Mascis dei Dinosaur Jr. (In A Drawer, ovviamente uno degli highlight dell’intero lavoro). Sospinti da una delicata brezza emotiva, i nostri distillano un raffinato pop di classe. Non si sta assolutamente urlando al miracolo, le loro canzoni però sono ancora capaci di coinvolgere suscitando anche una sorta di curiosità che vi condurrà fino alla fine di queste dodici piacevoli tracce (Casual Party). Archi, cori e synth danzano in modo equilibrato con il songwriting frizzante e la ritmica al peperoncino.
Disco della maturità o della senilità diranno i detrattori, come sempre ognuno deciderà da che parte stare. La parola d’ordine per la comprensione di nuovo passaggio è insita nell’equilibrio di cui il disco è permeato e imperniato sul classicissimo strofa e ritornello, terreno fertile per un pop sognante arricchito da synth che sostituiscono, con il minimo sforzo digitale, le complesse orchestrazioni a più elementi di un tempo.
01. Dull times/The moon
02. Solemn oath
03. Hag
04. Casual party
05. In a drawer
06. Hold on gimme a sec
07. Lying under oak
08. Throw my mess
09. Whatever, wherever
10. Country teen
11. Barrel house
12. Even still
a cura di: Giuseppe Celano